C.d. reato di clandestinità, legge elettorale: uno strano sillogismo

C.d. reato di clandestinità, legge elettorale: uno strano sillogismo

Un giudice di pace, chiamato a decidere su un caso di applicazione della fattispecie considerata all’art. 10-bis D. L. 25/7/1998, n.286, introdotto, come noto, dall’art. 1, 16, lett. a), L. 15/7/2009, n. 94, ha sollevato questione d’illegittimità costituzionale della norma, argomentando come essa sia stata introdotta dai “componenti” di un Parlamento che non sarebbe un …. Parlamento, in conseguenza della L. 21/12/2005, n. 270, la quale, con l’attribuzione ai partiti politici della determinazione dell’ordine di iscrizione dei candidati nelle liste (ed altro) avrebbe alterato i principi di sovranità popolare.
Per inciso, i dubbi di costituzionalità della L. 21/12/2005, n. 270 sono di prossimo esame avanti alla Corte Costituzionale, ma nell’ordinanza citata si assume l’argomentazione per la quale, risultando l’elezione dei membri del Parlamento non già una conseguenza diretta dell’espressione di voto ma una scelta delle segreterie dei partiti, sorge il fondato dubbio che il Parlamento risulti carente di legalità costituzionale alla quale si aggiunge un ulteriore dubbio sul deficit di legittimità dello stesso, per cui, è dubbio che la legge in oggetto, in quanto varata da un parlamento di cui risulta dubbia la legalità/legittimità costituzionale della sua investitura, possa ritenersi prescrittiva. Incidentalmente, può considerarsi, o meglio, ipotizzarsi come la prossima pronuncia della Corte Costituzionale attorno alla L. 21/12/2005, n. 270 possa essere tale da assorbire la questione così sollevata, l’ordinanza del giudice di pace potrebbe (astrattamente, se il sillogismo cui è stato fatto ricorso venisse condiviso dalla Corte Costituzionale) portare alla conseguenza che tutte le norme emanate dal Parlamento (ma anche gli altri atti adottati dal Parlamento), nel corso delle diverse legislature in cui l’elezione è avvenuta in applicazione della L. 21/12/2005, n. 270 possano venire ritenute prive di natura prescrittiva, dando la stura ad una proliferazione di questioni di legittimità costituzionale, sulle singole norme che, di volta in volta, vengano in applicazione.
Il tutto potrebbe sintetizzarsi nella formula (grossolanamente espressa) per cui: “se il Parlamento non è un… Parlamento, allora le sue leggi non sono …. leggi.”, il ché contrasta con una pluralità di aspetti, non ultimo quello dell’art. 136, 1 Cost., per il quale una disposizione di cui sia dichiarata l’illegittimità costituzionale cessa di avere efficacia dopo tale pronuncia e tale dichiarazione non retroagisce all’entrata in vigore della norma interessata.

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