CITTADINI STRANIERI - Certificati e dichiarazioni sostitutive: de-certificazione anche per gli stranieri, ma con molte riserve.

In vigore dal 1 gennaio 2012, le disposizioni che vietano alla pubblica amministrazione di chiedere certificati ai cittadini provocano serie difficoltà a questure e prefetture per le pratiche di permesso di soggiorno e di cittadinanza. Il Ministero dell’interno interviene con una circolare per non bloccare le procedure.

Come stabilisce l’art. 15 della legge 12 novembre 2011, n. 183, dal 1 gennaio 2012 i certificati hanno validità solo nei rapporti tra i privati e le amministrazioni non possono più chiedere ai cittadini certificati o informazioni già in possesso di altre pubbliche amministrazioni.
Obiettivo della legge è la totale soppressione dei certificati, fase conclusiva del processo di semplificazione avviato dal d.P.R. 28 dicembre 2000 n. 445, “Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa” che già prevedeva il ricorso alle dichiarazioni sostitutive ed il divieto per le amministrazioni di richiedere atti o certificati contenenti informazioni già in possesso della PA. Le novità della legge n. 183 sono essenzialmente tre:
1) le certificazioni rilasciate dalle PA in ordine a stati, qualità personali e fatti sono valide e utilizzabili solo nei rapporti tra privati, mentre nei rapporti con altri gli organi della Pubblica amministrazione e i gestori di pubblici servizi (esempio Poste italiane), tali certificati sono sempre sostituiti dalle dichiarazioni sostitutive di certificazione o dell’atto di notorietà;
2) dal 1° gennaio 2012 le amministrazioni e i gestori di pubblici servizi non possono più accettarli né richiederli: la richiesta e l’accettazione dei certificati costituiscono violazione dei doveri d’ufficio;
3) i certificati devono riportare, a pena di nullità, la frase: “il presente certificato non può essere prodotto agli organi della pubblica amministrazione o ai privati gestori di pubblici servizi” ed il rilascio di certificati privi della dicitura costituisce violazione dei doveri d’ufficio.
La de-certificazione riguarda anche i cittadini stranieri non appartenenti ai Paesi dell’Unione europea?
In parte sì, purché gli stati, fatti e qualità personali siano certificabili o attestabili da parte di soggetti pubblici o privati italiani. Quindi, ad esempio, residenza, stato di famiglia, matrimonio, titolo di studio di un cittadino straniero che risiede, si è spostato o laureato in Italia, è autocertificabile in quanto i fatti possono essere attestati da parte di una amministrazione italiana. Diversamente, per rimanere nell’esempio, nel caso di nascita, matrimonio, laurea all’estero, tali stati devono essere comprovati con certificati esteri tradotti e legalizzati.
Questo in linea di massima, poiché quando questi o altri simili certificati devono essere prodotti dal cittadino straniero ad una questura per le pratiche del soggiorno la conclusione potrebbe essere differente.
Sembrerebbe infatti – il condizionale è d’obbligo data la complessità e la delicatezza della questione (la legge ora vieta al pubblico ufficiale di accettare i certificati) – che la nuova normativa non debba applicarsi per effetto di una deroga contenuta nel regolamento di attuazione del testo unico immigrazione secondo la quale (art. 2) “i cittadini stranieri regolarmente soggiornanti in Italia possono utilizzare le dichiarazioni sostitutive, limitatamente agli stati, fatti e qualità personali certificabili o attestabili da parte di soggetti pubblici o privati italiani, “fatte salve le disposizioni del testo unico o del presente regolamento che prevedono l’esibizione o la produzione di specifici documenti”. Poiché la stessa eccezione è prevista anche dal regolamento n. 445 del 2000, nella parte non modificata dalla legge del 2011, ecco che in questi casi quel divieto di richiedere o accettare i certificati sembrerebbe non applicarsi.
Su questa linea si è orientato il Dipartimento della PS, non solo per garantire una corretta applicazione della norma ma anche per evitare ulteriori appesantimenti alle procedure ed il rischio concreto di prolungare a dismisura i tempi di rilascio delle autorizzazioni. Il Viminale, con una circolare della scorsa settimana, ha perciò invitato le questure ad esigere le certificazioni nei casi in cui “l’acquisizione sia desumibile dalle norme del testo unico o del regolamento”, come ad esempio nel caso del certificato del casellario giudiziale e del certificato delle iscrizioni relative ai procedimenti penali in corso richiesto dall’art. 16 del regolamento ai fini della domanda di rilascio del permesso di soggiorno CE. Per il Ministero resterebbe immutato l’obbligo di consegna del certificato anche per attestare: la conformità ai requisiti igienico-sanitari, nonché di idoneità abitativo dell’alloggio; l’iscrizione nelle liste o nell’elenco anagrafico finalizzato al collocamento del lavoratore licenziato, dimesso o invalido per il rilascio del permesso di soggiorno per attesa occupazione; l’iscrizione ovvero la frequenza ad un corso di studio per il rinnovo del permesso di soggiorno per studio.
Invece ancora nessuna indicazione dal Viminale per la procedura di richiesta della cittadinanza, la cui regolamentazione non consente di desumere deroghe al divieto di esigere certificati. Di conseguenza le prefetture non possono più chiedere ed accettare i certificati di matrimonio, di cittadinanza italiana e di stato in vita del coniuge, lo storico di residenza, lo stato di famiglia, l’atto integrale di nascita dei figli nati dal matrimonio (se nati in Italia), eventuale sentenza di adozione e simili. In tutti questi casi il cittadino straniero deve produrre l’autocertificazione e la prefettura potrà eseguire controlli sulla veridicità delle dichiarazioni presso l’amministrazione competente.

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