Natura giuridica dei cartellini marcatempo

Natura giuridica dei cartellini marcatempo

Nell’annullare – senza rinvio, perché il fatto non sussiste – la sentenza di condanna del giudice di appello (confermativa della sentenza di primo grado) nei confronti di un dipendente della questura, che aveva alterato l’orario d’ingresso e di assenza per la pausa pranzo sul foglio presenze, la Corte di Cassazione sottolinea che non integra il delitto di falso ideologico in atto pubblico la falsa attestazione del pubblico dipendente circa la sua presenza in ufficio riportata nei cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, in quanto documenti che non hanno natura di atto pubblico, ma di mera attestazione del dipendente inerente al rapporto di lavoro, soggetto a disciplina privatistica; documenti che, peraltro, non contengono manifestazioni dichiarative o di volontà riferibili alla P.A.
In tal modo, il S.C. ribadisce il principio di diritto già espesso dalle Sezioni Unite nella sentenza 15983/2006: “i cartellini marcatempo ed i fogli di presenza dei pubblici dipendenti non sono atti pubblici, essendo essi destinati ad attestare da parte del pubblico dipendente solo una circostanza materiale che afferisce al rapporto di lavoro tra lui e la pubblica amministrazione (oggi soggetto a disciplina privatistica), ed in ciò esauriscono in via immediata i loro effetti, non involgendo affatto manifestazioni dichiarative, attestative o di volontà riferibili alla pubblica amministrazione”.
Gli ermellini richiamano anche la sentenza 34210/2006, in cui si è sottolineato che “dalla non riconducibilità del fatto nello schema del delitto di falso ideologico, non deriva affatto il venir meno del carattere fraudolento della condotta, non essendo revocabile in dubbio che – proprio in considerazione della funzione attestativa ed “autocertificativa”che la sottoscrizione del “foglio di presenza” assume agli effetti del rispetto dell’orario di lavoro e dell’espletamento in concreto delle proprie mansioni – qualsiasi condotta “manipolativa” delle risultanze di quella attestazione è di per se – ed ontologicamente – idonea a trarre in inganno l’amministrazione presso la quale il dipendente presta servizio circa il “fatto” che quella attestazione è volta a dimostrare (la presenza sul luogo di lavoro)”.

Qui il testo della sentenza della Cassazione sez. penale 21 maggio 2012, n.19299

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