Il diritto soggettivo all’accesso agli atti ed il risarcimento del danno da ritardo: occorre che sussista, e sia provato, il danno

Il diritto soggettivo all’accesso agli atti ed il risarcimento del danno da ritardo: occorre che sussista, e sia provato, il danno

La qualificazione del diritto di accesso come diritto soggettivo appare ora un dato acquisito alla luce del codice del processo amministrativo che, superando le oscillazioni giurisprudenziali precedentemente manifestatesi, ha previsto la giurisdizione esclusiva in materia (cfr. art. 133, comma 1, lett. a), n. 6), in una linea di continuità con l’affermazione giurisprudenziale secondo cui “il giudizio in materia di accesso ai documenti amministrativi, pur seguendo il rito impugnatorio, è comunque strutturato come un giudizio di accertamento, nel quale il giudice è chiamato in via diretta a verificare la fondatezza della pretesa” (cfr. Cons. Stato, sez. V, 14.9.2010 n. 6696). Lo ha affermato il T.A.R. per la regione Veneto, Sez. 3^, sent. n. 240 del 16/02/2012, con cui è stato altresì considerato come il ritardo con cui sia accolta l’istanza di accesso agli atti amministrativi può dar luogo al risarcimento dei danni subiti, anche non patrimoniali, a condizione però che tale danno sussista e venga provato. Infatti anche il danno non patrimoniale costituisce “danno conseguenza” che deve essere provato, dovendo essere disattesa la tesi che identifica il danno con l’evento dannoso (c.d. ”danno evento”), e la tesi per cui nel caso di lesione di valori della persona, il danno sarebbe in re ipsa, in quanto verrebbe altrimenti alterata la funzione del risarcimento, trasformato in un indennizzo (va in proposito ricordato che è rimasta inattuata la previsione dell’art. 17, comma 1, lett. f), della L. 15/3/1997, n. 59, di forme di indennizzo automatico e forfettario a favore dei soggetti richiedenti il provvedimento per i casi di mancato rispetto del termine del procedimento e di mancata o ritardata adozione del provvedimento) o in una pena privata volta a sanzionare di per sé ogni comportamento lesivo (cfr. Cass., ss.uu., 11.11.2008, n. 26972). Sul medesimo tema del danno da ritardo, anche il T.AR. per la regione Lombardia, sede di Brescia, Sez, 1^, sent. n. 405 del 13/3/2012 per il quale la formulazione letterale della norma dell’art. 2-bis l. 241/1990 non deroga alle regole generali sull’illecito civile, e impone quindi che dal comportamento illegittimo (il ritardo dell’amministrazione) sia derivato un evento di danno. É da ricordare, d’altronde, che dal testo finale dell’art. 2-bis l. 241/1990 è stato espunto l’inciso, comparso durante i lavori preparatori, che attribuiva il risarcimento del danno “indipendentemente dalla spettanza del beneficio derivante dal provvedimento richiesto”. Talché non c’è nessun elemento testuale per sostenere che l’illecito ex art. 2-bis l. 241/1990 si sia trasformato in un illecito che punisce il mero patema d’animo da incertezza nella definizione del procedimento amministrativo (a guisa della disposizione dell’ art. 2 l. 89/2001 sull’equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo, che punisce la violazione del termine massimo del processo indipendentemente dalla spettanza della pretesa azionata in giudizio e per il solo fatto del patema d’animo derivante dall’incertezza cui sono soggette le proprie posizioni giuridiche). La norma dell’art. 2-bis l. 241/1990 deve, quindi, essere interpretata nel solco della giurisprudenza tradizionale (su tutte Cons. Stato, Ad. plen., 7/2005) che individua il danno-evento nell’utilità finale da conseguire con il provvedimento emesso in ritardo.

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