Occorre proprio essere consenzienti per contrarre matrimonio? Evidentemente, si (anche se talune forme possono apparire diverse)

Occorre proprio essere consenzienti per contrarre matrimonio? Evidentemente, si (anche se talune forme possono apparire diverse)

Il MIN, con la circolare n, 25/2011 del 13/10/2011  affronta una questione che sorge da diversità, di vario ordine, in altri contesti o, forse, non sorge dalle diversità, quanto da approcci che tendono a considerare, come se fosse in qualche modo “universale” una determinata situazione.
Se sia del tutto fuori discussione come la volontà di contrarre matrimonio costituisce un fattore essenziale, quanto ineliminabile dell’istituto matrimoniale (anche se in alcune culture, permarrebbero logiche che non considerano la volontà con questo rilievo, oppure, anche, che ne prescindono, magari prevedendo una “titolarità” di altri soggetti (padre, famiglia, ecc.), in certe situazioni  la “forma” della celebrazione del matrimonio può apparire decisamente abbastanza lontana da quelle cui con maggiore frequenza si è abituati.
La situazione che viene presa a spunto è una particolare forma di celebrazione del matrimonio presente in alcuni (non tutti) ordinamenti  d’influenza coranica, ambienti in cui (per altro, limitatamente) esistono anche matrimoni “a tempo determinato” (anche di soli 20 muniti . (sic!)), pur se interpreti coranici di alcune “scuole teologiche” propendano per escludere la sussistenza di una copertura di queste situazioni dai testi di riferimento, in ambienti culturali (probabilmente è più rilevante l’aspetto culturale, tradizionale che non quello tecnicamente religioso, che viene, spesso, a costituire una sovrastruttura a cui si ricondinono aspetti di lontana origine culturale, a volte dando  interpetazioni, in un senso oppure in altro, dei testi religiosi),  in cui non  si ammettere (od ammetterebbe) l’ipotesi di rapporto non suffragati da un vincolo matrimoniale, classificando questi in termini di adulterio, comportamenti a rilevanza magari anche penale, per cui è prevista la sanzione (citata nei vangeli) della lapidazione.
Per evitare questo, vi si ovvia con altre modalità, tecniche, “trucchi” (in senso positivo), che consentono una quale legittimazione di determinate situazioni.
Nella circolare, si cita il Regno del Marocco dato che costituiva una delle realtà in cui tali situazioni sussistevano (e che sono, ancora parzialmente, in via di progressivo  superamento dopo che, con la L. 70.03, è stato ivi adottato un nuovo Codice della famiglia – c.d. Moudawana – pronmulagato dal re  Mohammed VI  con il Dahir  n. 1.04.22 del 12 hija 1424 (corrispondente al 3/2/2004 di altri calendari), si sono introdotti istituti  precedentemente, storicamente, non presenti, quali (es.) quello della filiazione naturale.
Tuttavia, ponendo un po’ da parte, le  modifiche legislative e tornando agli aspetti che più direttamente sono pertinenti, la circolare n. 25 considera quella particolare  modalità di “formalizzazione” (non forma, bensì formalizzazione) di un celebrato matrimonio, che consiste nella dichiarazione, sottenuta da testimonanze, in cui i coniugi dichiarano di avere, a suo tempo, contratto matrimonio.
Probabilmente per capire questo istituto, essendo esso non presente al di fuori di specifico contesti culturali, sia permesso di fare riferimento a qualche cosa di più noto, puir se proprio di un ordinamento giuridico  “altro”, diverso da quello “civile”, ma che, appartetiene a soggetto che, nel proprio ordine, ha carattere di indipendenza e sovranità,  cioè all’ordinamento canonico,  non riferendosi al matrimonio canonico, quanto al matrimonio quale sacramento nel cattolicesimo (giusto per constatare come alcune situazioni siano solo – apparentemente – “strane”).
Infatti, qui il sacramento è “amministrato” dagli sposi ed il parroco è un “assistente” (can. 1108 C.I.C),  e che considera anche una presunzione (can. 1061, § 2 C.I.C.) sul fatto che, celebrato il matrimonio, se ne presume la consuimazione (salva prova contraria) se vi sia stata successiva coabitazione, tanto che, in quell’ordinamento  vi è l’istituto del “rato et non cosummato”.
Se si tengano presenti questi aspetti, è possibile (ovviamente con tutte le cautele e le differenziazioni del caso) considerare la situazione specifica, come una  sorta  di istituto (più o meno simile, ma “a rovescio”,  dove  con la dichiarazione dei coniugi, suffragata dai testimoni, si “darre prova” della avvenuta consumazione e, quindi, dell’avvenuta “celebrazione” (in quesa fase senza testimoni, si spera)  del matrimonio.
Semmai si potrebbe considerare, discostandosi all’indirizzo della circolare (che, probabilmente, non  ha approfondito questi aspetti) come già  il fatto che i congiugi  rendano, avanti a notai e testimoni, la dichiarazione di avere, in precedenza, contratto matrimonio, costituirebbe, in sé stesso, fatto probaborio di  una volontà a far constare, nell’ordinamento di origine,  la propria volontà “matrimoniale”.
Per altro, proprio per la (del tutto comprensibile)  assenza di  approfondimenti su questo particolare istituto, viene indicata una soluzione, in qualche modo fonfirmatoria, individuandosi una peculiare modalità e procedura nel caso di una richiesta di trascrizione di un tale matrimonio, quando ricorrano le condizioni dell’art.16 RSC, oppure quando uno (o, enbrambi) i coniugi  abbiano acqusito la cittadinanza italiana.

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