Semplificazione? Stop ai certificati: ma di che cosa stanno parlando?

Semplificazione? Stop ai certificati: ma di che cosa stanno parlando?

L’Agenzia ANSA ha diffuso (26/9/2011) le indicazioni del Ministro per la P.A. e l’Innovazione, in occasione della presentazione di un logo della P.A., secondo le quali: “Una delle vitamine per la crescita è la semplificazione. Perché  famiglie e imprese devono fornire certificati alla pubblica amministrazione che li ha già in casa?
Basta certificato antimafia. Basta pacchi di certificati per partecipare ai concorsi. Ci sono tante riforme che non costa niente, ma che producono crescita”. Sinceramente, il parlare di “semplificazione”, termine caro in altre epoche due-tre lustri fa sembra, oggi come allora, ben diversi dal parlare di “semplicità”; tuttavia mettere sullo stesso piano i “certificati”, presi in generale, con le certificazioni anti-mafia, lascia perplessi, salvo non si voglia fare un ennesimo favore alla diffusione della criminalità organizzata, preferibilmente anche in aree non originarie, come, del resto, avvenuto /e neppure da oggi), tanto che il Ministro dell’interno ne ha affermato l’indispensabilità. Per altro, da interventi di questo stampo si ricava la sensazione che non sempre sia noto di che cosa si stia parlando, dato che vi sono, vigenti, norme ben precise, anche se – come spesso denunciato dagli operatori di settore – esse sono scarsamente applicate o, quando lo siano, applicate in termini distorti. Si pensi, risalendo nel tempo a ritroso (e senza citare neppure tutte le norme che potrebbero esserlo), all’art. 43 d.P.R. 28/12/2000, n. 445, all’art. 18 L. 7/8/1990, n. 241, all’art. 10 L. 4/1/1968, n. 15, all’art. 2 d.P.R. 2/8/1957, n. 678.
Certamente, queste norme non sono esattamente identiche, presentano “sfumature” di differenziazione, ma esprimono un indirizzo, una “filosofia” comune, che indica(vano) un percorso ben preciso, quello del (generale) orientamento, in termini di procedimento, per l’acquisizione d’ufficio.
Consideriamo (seppure, ampiamente abrogato (dal 1968!) l’art. 2, 2 d.P.R. 2/8/1957, n. 678 il cui tenore, fin ché vigente, era: “L’Amministrazione non può richiedere al privato atti o certificati concernenti fatti o circostanze che risultino attestati in documenti già in possesso o che essa stessa sia tenuta a certificare.”, norma che poneva un vero e proprio “divieto”, successivamente reiterato, ampliato ed esteso nella sua applicazione.
Sarebbe bastato che da quel momento (1957!) questa disposizione avesse trovato applicazione (o, in difetto, che ne fosse stata richiamata la cogente applicazione) per inoculare nelle diverse P.A. il “germe” di un processo che, in realtà, non è mai neppure stato avviato, salvo poche pregevoli eccezioni.  E’ per altro anche ammissibile che un Ministro possa fare “propaganda”, trattandosi non certo di una carica a contenuto “tecnico”, ma chi opera in termini professionali dovrebbe attuare le norme, quanto meno quelle attualmente vigenti che, non a caso, pongono ancora un tale “divieto”, oltretutto ampliato rispetto alla formulazione del 1957 (ampliamento che, va ricordato, sia riferibile all’art. 18, 2 e 3 L. 7/8/1990, n. 241.

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