Dai figli "naturali" ai "figli nati fuori del matrimonio"

Dai figli “naturali” ai “figli nati fuori del matrimonio”

Il 30/6/2011 la Camera dei deputati ha approvato la P.d.L. derivante dall’unificazione di diverse P.d.L. (AC 2519-3184-3247-3516-3915-4007-4054-A) che modifica l’art. 74 CC (ampliando il concetto di paretela all’istituto dell’adozione, ma “dimenticandosi” che, oltre che l’adozione di maggiori (che non fa sorgere la “nuova” parentela), vi è anche l’adozione nei casi particolari, che non determina l’assunzione della qualità di figlio, legittimo), l’art. 250 CC (sostituendo il “naturale” con “nato fuori del matrimonio” (modifica di portata generale);
riducendo a 14 anni l’età per l’assenso /consenso;
rimettendo al giudice (minorile, evidentemente) di autorizzare a derogare dall’età costituente fattore di capacità al riconoscimento, cioè “scendendosi”, con autorizzazione giudiziale, al di sotto dei 16 anni);
all’art. 258 CC;
all’art. 315 CC;
introducendo l’art. . 315.bis CC (sui diritti, e doveri, dei figli);
abrogando l’istituto della legittimazione.
Inoltre, si attribuisce delega legislativa (12 mesi), per coordinare le diverse disposizioni pertinenti (inclusi tanto gli artt. 33, 34, 35 e 39 L. 31/5/1995, n. 218, nonché il RSC).
Tra i criteri della delega legislativa si segnala la ridefinizione della disciplina del possesso di stato e della prova della filiazione, l’ estensione della presunzione di paternità del marito rispetto ai figli comunque nati o concepiti durante il matrimonio (ritorno al passato, oppure superamento degli atteggiamenti, ideologici e pregiudiziali, qui o là ancora, residualmente, presenti?) e ridefinizione della disciplina del disconoscimento di paternità, con riferimento in particolare all’art. 235, 1, n. 1), 2) e 3) CC, la modificazione della disciplina del riconoscimento dei figli nati fuori del matrimonio (prevedendo, tra l’altro, il principio dell’inammissibilità del riconoscimento (art. 253 CC) sia esteso a tutte le ipotesi in cui sia in contrasto con lo stato di figlio riconosciuto o giudizialmente dichiarato; modifiche agli articoli 244, 264 e 273 CC, con l’abbassamento dell’età del minore dai 16 anni ai 14; la limitazione dell’imprescrittibilità dell’azione solo per il figlio e l’introduzione di un termine di decadenza per altri).
Se l’impostazione “ideale” sottostante va senz’altro condivisa, non può non osservarsi che, a parte aspetti terminologici, in sostanza gran parte di questo testo abbia fondamento, più che nelle norme, nelle loro interpretazioni (e di “certe” interpretazioni, con lo sguardo rivolto al passato …) , tanto che vi era chi sosteneva, e con argomenti fondati, come (dopo la L. 19/5/1975, n. 151), l’unica – reale – differenza tra figli legittimi e naturali (o, secondo la nuova terminologia che viene così introdotta, tra figli nati nel matrimonio o fuori di esso (si sta sempre più diffondendo la prassi di usare termini “lunghi” in luogo di termini “brevi”)), fosse quella dell’art. 537, 3 CC, dove, ferma restando la medesima “fetta della torta” (cioè il valore della quota spettante), essa poteva (e sempre ché il figlio naturale non se ne opponesse) essere “tradotta” in danaro o beni immobili. Ora, la parola passa al Senato della Repubblica.

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