L’art. 9 comma 1 lett. f), della legge 5 febbraio 1992 n. 91, che prevede che la cittadinanza italiana possa essere concessa allo straniero che risieda legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica, attribuisce rilevanza giuridica ai periodi di soggiorno nel territorio italiano solo se coperti dall’apposito titolo autorizzatorio e certificati dall’autorità anagrafica, essendo stato chiarito che la condizione di residenza legale va riferita a quella indicata dall’art. 1 comma 2 lett. a), d.P.R. 12 ottobre 1993 n. 572, che presuppone che il residente abbia soddisfatto le condizioni e gli adempimenti previsti dalla norme in materia di ingresso e di soggiorno degli stranieri in Italia e da quelle in materia di iscrizione anagrafica. In tale prospettiva non si ritiene utile a configurare il presupposto della residenza legale ultradecennale il mantenimento di un’interrotta situazione residenziale di mero fatto, essendo invece a tal fine necessario che la stessa sia stata accertata in conformità alla disciplina interna in materia di anagrafe (v. T.A.R., Lazio, sez. II-quater, n. 10123 del 2012).
Ai fini dell’acquisto della cittadinanza italiana da parte dello straniero che risieda legalmente da almeno dieci anni nel territorio della Repubblica, non è possibile prescindere dall’iscrizione anagrafica mediante la produzione di dati ed elementi atti a comprovare aliunde la presenza sul territorio. Del pari, l’interessato non può provare la residenza attraverso prove diverse dalla certificazione anagrafica perché la legge demanda ai registri anagrafici l’accertamento della popolazione residente e l’art. 1 comma 2 lett. a), d.P.R. n. 572 del 1993 con l’art 1 comma 3 lettera f) del d.P.R. 362 del 1994 impongono che la prova della residenza sia fornita attraverso l’esibizione del certificato di iscrizione nell’anagrafe della popolazione residente (v. T.A.R. Lazio, sez. II-quater, n. 1061 del 2011; T.A.R. Lombardia, Brescia, n. 1707 del 2011).
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