Capacità matrimoniale: regole per cittadini statunitensi, australiani, rifugiati e apolidi

I casi pratici: requisiti e normative per il matrimonio in Italia

27 Novembre 2024
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I dodici articoli (dal 26 al 37) del Capo IV – Rapporti di famiglia della legge n. 218/1995 affrontano materie particolarmente rilevanti anche per gli ufficiali di stato civile: matrimonio, unione civile, rapporti tra i coniugi, filiazione, legittimazione e riconoscimento di figli naturali, convivenze di fatto.
Il Capo IV ha subito importanti modifiche ed integrazioni a seguito dell’entrata in vigore della legge 219/2012 sulla filiazione, della legge 76/2016 sulle unioni civili e convivenze di fatto e del d.lgs. 7/2017.
Iniziamo con l’art. 26 che prevede che le promesse di matrimonio e le conseguenze della loro violazione sono regolate dalla legge nazionale o, in mancanza, dalla legge italiana: certo non siamo in presenza di una fattispecie molto frequente, ma qualora vi fosse stata una promessa e l’inosservanza della stessa avesse provocato danni e venisse richiesto un risarcimento, questo dovrà essere valutato in base alla normativa di appartenenza dei nubendi. Qualora manchino disposizioni in tal senso nella legge nazionale dei nubendi, si farà ricorso alla legge italiana e sarà questa a dover essere applicata.
Viene evidenziato dall’art. 27 che sarà la legge nazionale di ciascuno dei nubendi a dover regolare la capacità matrimoniale e le altre condizioni per contrarre matrimonio: viene dunque confermato l’art. 116 del codice civile che continua ad avere piena applicazione. Non solo, ma viene anche stabilito che se uno dei nubendi – cittadino straniero – avesse acquisito lo stato libero a seguito di una sentenza italiana o riconosciuta in Italia, per il nostro Paese dovrebbe essere considerato di stato libero anche se l’ordinamento del quale è cittadino considerasse ancora valido il precedente matrimonio. Ovviamente, non potrebbe essere ammesso al matrimonio in assenza del nulla osta di cui all’art. 116, a meno che il mancato rilascio del nulla osta consegua proprio al mancato riconoscimento, nello Stato estero, dell’efficacia della sentenza di divorzio emessa in Italia: in sostanza, verrebbe ad avere rilevanza, per il nostro ordinamento, il giudicato del Tribunale nazionale. Questo della capacità matrimoniale dello straniero rappresenta sicuramente un aspetto problematico che necessita di ulteriore approfondimento.

Il caso pratico

Capacità matrimoniale dei cittadini statunitensi e australiani

La mancanza del nulla osta o certificato di capacità matrimoniale è prevista e disciplinata in alcuni casi. La prima è data dai cittadini degli Stati Uniti d’America: per costoro, infatti, non esiste un’autorità competente a rilasciare il nulla osta richiesto dal codice civile italiano. Pertanto, con legge 13 ottobre 1965, n. 1195, venne approvato uno scambio di note tra l’Italia e gli Stati Uniti con il quale il cittadino statunitense viene autorizzato a presentare all’ufficiale dello stato civile italiano:
– una dichiarazione giurata, resa dinanzi all’autorità consolare statunitense, dalla quale risulti che, giusta le leggi alle quali è soggetto negli Stati Uniti, nulla osta al matrimonio che intende contrarre in Italia: l’autorità consolare dovrà certificare l’identità e la cittadinanza dell’interessato;
– documenti rilasciati dalle competenti autorità degli Stati Uniti dai quali risulti la prova che, giusta le leggi alle quali è sottoposto, nulla osta al matrimonio: in mancanza, la legge prevedeva una dichiarazione giurata, un atto notorio con quattro testimoni, di fronte all’autorità italiana competente, nella quale l’interessato dichiari che non vi sono ostacoli – per le leggi a cui è soggetto negli Stati Uniti – al matrimonio che intende contrarre. In proposito, occorre precisare che tale disposizione non è stata derogata dal d.P.R. 445/2000 in materia di semplificazione amministrativa e l’atto notorio previsto è rimasto invariato: dovrà essere formato in presenza di quattro testimoni di fronte al notaio o cancelliere del Tribunale.
Altra deroga è stata prevista anche per i cittadini australiani per i quali è stato necessario raggiungere un accordo tra il Governo della Repubblica Italiana ed il Governo dell’Australia sugli atti di stato civile da prodursi da parte di cittadini australiani che intendano contrarre matrimonio in Italia: con legge 27 settembre 2002, n. 233 è stato ratificato, riconoscendo che il cittadino australiano non può presentare il nulla osta previsto dall’art. 116 c.c., e pertanto dovrà produrre all’ufficiale dello stato civile:
– una dichiarazione giurata del cittadino australiano in presenza dell’Autorità consolare australiana in Italia, da cui risulti che secondo le leggi alle quali è soggetto in Australia nulla osta al matrimonio che intende contrarre in Italia. L’Autorità consolare australiana certificherà l’identità e la cittadinanza australiana dell’interessato;
– documenti rilasciati dalle autorità australiane competenti, dai quali risulti indirettamente che nulla osta al matrimonio. Oppure un atto notorio (dichiarazione giurata resa in presenza di quattro testimoni), formato in presenza di un’autorità italiana competente, da cui risulti che nulla osta al matrimonio. Si intendono per autorità italiane competenti, in Italia, l’ufficiale dello stato civile e, all’estero, le Autorità consolari italiane: quindi, nello specifico dei cittadini australiani e solamente in tal caso, sarà l’ufficiale dello stato civile a ricevere direttamente l’atto notorio in presenza di quattro testimoni.

Il caso pratico

Capacità matrimoniale del rifugiato e dell’apolide

Altra eccezione alla presentazione del nullaosta possiamo averla nel caso dello straniero che abbia acquisito la condizione di “rifugiato”: in proposito, si rinvia a quanto già esposto nel caso 3.
Ulteriore eccezione riguarda il caso dell’apolide per il quale non è applicabile l’art. 116 c.c. (si riferisce, infatti, a colui che possiede una cittadinanza): è essenziale una documentazione con la quale l’interessato dimostri di essere apolide, oltre alle certificazioni possibili relative alla nascita e alle dichiarazioni dell’interessato concernenti la propria capacità matrimoniale. Lo stato di apolidia deve risultare da apposita certificazione rilasciata dal Ministero dell’interno o potrebbe essere la conseguenza di un accertamento da parte dell’autorità giudiziaria (si veda quanto esposto al caso 4). Ai fini della pubblicazione di matrimonio si dovrà accettare la documentazione che l’interessato sarà in grado di presentare, per verificare che non sussistano impedimenti al matrimonio: non esiste un elenco di documenti al riguardo, occorre effettuare una valutazione con un margine di discrezionalità. Ad esempio, il fatto che sia stato residente in diversi comuni in Italia senza che risultino matrimoni celebrati, può essere già un elemento che depone a favore della libertà di stato, così come altri documenti che l’interessato sarà in grado di produrre. Si tratta, comunque, di ipotesi che necessita di un’attenta valutazione da parte dell’ufficiale di stato civile che, pur godendo nello specifico di un margine di discrezionalità, laddove riscontri elementi dubbiosi, potrebbe rifiutare le pubblicazioni, lasciando che sia il Tribunale a decidere sulla possibilità di celebrare matrimonio. In ogni caso, per quanto attiene all’esercizio dei suoi diritti civili, ai sensi dell’art. 16 della legge n. 91/1992, il cittadino apolide è soggetto alla legge italiana, anche ai fini della celebrazione del matrimonio. In proposito, si richiama anche l’art. 19, primo comma, della legge 218/1995: “Nei casi in cui le disposizioni della presente legge richiamano la legge nazionale di una persona, se questa è apolide o rifugiata si applica la legge dello Stato del domicilio o, in mancanza, la legge dello Stato di residenza”.

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