T.A.R. Lazio, Roma, sez. II-quater, 17 febbraio 2015, n. 2724
1. Domanda di concessione della cittadinanza italiana – termine di conclusione del procedimento – superamento – provvedimento favorevole per silentium – va escluso.
2. Domanda di concessione della cittadinanza italiana – provvedimento di rigetto – esigenza motivazionale – specificazione.
3. Domanda di concessione della cittadinanza italiana – valutazione del Ministero dell’Interno – condanne dell’ultimo decennio – rilevanza di fatti particolarmente gravi risalenti a periodo anteriore – legittimità.
1. L’obbligo, gravante sulla pubblica amministrazione di pronunciarsi entro il termine di 730 giorni, stabilito dal d.P.R. n. 362/1994 per la conclusione del procedimento attivato dall’istanza di naturalizzazione dell’interessato, non comporta la consumazione del potere della stessa di determinarsi, né da luogo ad un provvedimento favorevole per silentium (c.d. “silenzio assenso), a tanto ostandovi la puntuale preclusione sancita dall’art. 20, comma 4, della legge n. 241 del 1990. Più semplicemente la mancata conclusione del procedimento in questione si traduce nel c.d. “silenzio inadempimento” che abilita all’attivazione dei mezzi di tutela previsti dall’art.117 del C.p.a. e dei quali l’interessato, nel caso di specie, non risulta essersi avvalso.
2. Nel caso di provvedimento di rigetto dell’istanza di concessione della cittadinanza italiana, l’esigenza motivazionale può dirsi assolta ogni qualvolta l’Amministrazione abbia esplicitato sia il risultato dell’apprezzamento intermedio, di natura consuntiva, che il giudizio finale in modo tale da consentire, anche tramite i riferimenti normativi espressi, la ricostruzione delle ragioni del diniego e l’identificazione del potere concretamente esercitato nel caso specifico.
3. Quando è presentata un’istanza di concessione della cittadinanza, il Ministero ben può rilevare che nell’ultimo decennio vi sono state condotte penalmente rilevanti (e quindi espressive di una non compiuta integrazione dello straniero nella comunità nazionale), così come può valutare i fatti per periodi ancora maggiori ai dieci anni, ove le condotte siano ragionevolmente qualificabili come particolarmente gravi.
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