Il C.d.M. approva un D.L. sugli stranieri ... (2) Pubblicato il D.L. 23/6/2011, n. 89.

Il C.d.M. approva un D.L. sugli stranieri … (2) Pubblicato il D.L. 23/6/2011, n. 89.

Come richiamato precedentemente, il D.L. sugli stranieri (o, secondo alcuni, che appezzano terminologie innovative, sugli stranieri e non stranieri, terminologie che hanno solo il senso di una brevità dato che, una volta abrogato (dal 1/12/2009) l’aggettivo “comunitario”, si deve parlare con una perifrasi lunga, così come neppure possa parlarsi di “extra-comunitari”, ma di “cittadini di Stati terzi) (non ignorando che tra la deliberazione del C.d.M. e l’emanazione vi è stato anche un qualche “ritrovo”), è stato emanato e quindi pubblicato, divenendo – formalmente – il D.L. 23/6/2011, n. 89 in cui, tra l’altro. considerato l’inciso precedente, si reitera l’uso del termine “cittadini comunitari”.
Una delle prime, anzi la prima, delle modifiche che il D.L. 23/6/2011, n. 89 apporta riguarda l’art. 3, 2 D. Lgs. 6/2/2007, n. 30 (e succ. modif. !) che costituiva (e continua a costituire, una norma che è, in sé, tutta una “perla”: infatti, trascurando, per un momento, la casistica sulle posizioni soggettive, l’art. 3, 2 prevede che: “ … lo Stato membro ospitante, conformemente alla sua legislazione nazionale, agevola l’ingresso e il soggiorno delle seguenti persone …”, cioè trascrivendo, testualmente, la direttiva 2004/38/CE, nel cui contesto può parlasi di “Stato membro ospitante”, formulazione che perde di significato quando questo ultimo adotti le norme nazionali di attuazione; non solo, ma l’indicazione “agevola”, importa un fine, uno scopo, non le forme e le modalità per il raggiungimento di questo scopo.
Se si considera l’art. 288, alinea 3 TFUE “ … La direttiva vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi. ….) e abbastanza palese la differenza tra “risultato” (posto dalla direttiva) e “forme / mezzi” (attraverso cui il risultato debba/possa essere raggiunto) che competono alla normativa “nazionale”.
Cosicché, si dovrebbe concludere che l’art. 3, 2 D. Lgs. 6/2/2007, n. 30 sia inapplicabile (al punto, che la rappresentanza in Italia della Commissione UE si è arrampicata sugli specchi per non essere costretta a segnalarlo alla Commissione UE per l’avvio di un’(ennesima) procedura d’infrazione, per mancata attuazione di questa parte della direttiva 2004/38/CE).
Decisamente di difficile attuazione l’introduzione del comma 3.bis all’art. 9, dato che apre le porte ad una discrezionalità, che rischia di essere esposta all’arbitrio, con il ché andrebbe messo in conto un ampio contenzioso.
Rispetto ai cittadini di Stati terzi viene il sospetto che le nuove norme (comunque oggetto di conversione in legge) non vadano, almeno in termini di coerenza, nella direzione della direttiva 2008/115/CE, rispetto alla quale è già intervenuta condanna da parte della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
Per non considerare quali siano le fattispecie che fanno sorgere la presunzione (assoluta? relativa?) sul “rischio di fuga”.
Anche per i cittadini di Stati terzi non mancano approcci discrezionali, soggettivi, che espongono, ancora una volta, al rischio di comportamenti arbitrari: poiché, a volte, si sono parlamentari che lamentano come la magistratura, specie in tema di stranieri, “intacchi” le norme poste dal Parlamento, dovrebbe, probabilmente, anche porsi la domanda se queste ultime non siano redatte talmente male, anche nella loro formulazione, da portare la magistratura, giudicante, ad adottare sentenze con un certo contenuto, piuttosto che con altro.
Purtroppo, spesso, chi scrive le leggi non pensa al testo che redige, quando all’obiettivo che vorrebbe raggiungere (non sempre coerentemente “rappresentato” nel testo formulato).
Recentemente, è stato letta una P.d.L. presentata da un (solo) parlamentare, in tutt’altra materia, da cui si ricava come il parlamentare firmatario non abbia neppure letto il testo firmato, in quanto è, in larga parte, una mera “copiatura” largamente testuale di altro testo di P.d.L., mentre laddove se ne differenzia, da un lato si rileva, anche per elementi tecnici, come siano presenti termini che provengono da un determinato costruttore (appartenente ad una categoria che propone altri fattori tecnici), oppure, in altri punti, formulazione così scoordinate e disarticolate da lasciare percepire il nome e cognome di chi le abbia “suggerite”.
Un parlamentare, per quanto di basso profilo, non avrebbe mai redatto testi con questi contenuti.
Del tutto interessante il sistema sanzionatorio, che è talmente chiaramente esposto al rischio d’inesigibilità delle sanzioni da lasciar pensare a mere affermazioni di principio.
Si pensi al “clandestino”, magari “sbarcato” (a questi fini, vi è un intenso traffico di pescherecci da demolizione, che, in luogo di essere rottamati nel porto di iscrizione, lo sono a Lampedusa …), a cui sia comminata la multa (da 6 a 15 mila, o, in altre fattispecie, da 15 a 30 mila €): come potrebbe fare Equitalia S.p.a. a riscuotere (effettivamente) l’importo della multa comminata?

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