ANPR- CITTADINI STRANIERI - Il diritto di soggiorno e l’iscrizione anagrafica del familiare del cittadino dell’Unione

Il diritto di libera circolazione e di soggiorno del cittadino dell'Unione presuppone, affinché possa essere esercitato in oggettive condizioni di libertà e di dignità, la concessione di un analogo diritto ai familiari, qualunque sia la loro cittadinanza

Approfondimento di W. Damiani

Il diritto di libera circolazione e di soggiorno del cittadino dell’Unione presuppone, affinché possa essere esercitato dignitosamente, la concessione di un analogo diritto ai familiari, qualunque sia la loro cittadinanza.

Qualsiasi proposta lavorativa che ci costringe ad allontanarci da casa richiede sempre una profonda riflessione. Fra le cose da mettere sul piatto della bilancia una rilevanza decisiva è assunta dal fatto di riuscire a mantenere inalterata la prospettiva della propria vita familiare.
La possibilità di spostarci insieme ai nostri cari infatti assicura una maggiore stabilità emotiva e consente di ridurre le incertezze associate al trasferimento.
Tale aspetto è stato considerato anche dal legislatore comunitario nel disciplinare il diritto dei cittadini dell’Unione di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. La direttiva 2004/38/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 29 aprile 2004 offre infatti una certa sicurezza in questo senso, consentendo ai familiari di accompagnare o raggiungere il cittadino dell’Unione nel Paese ospitante. Secondo la norma comunitaria il diritto di libera circolazione e di soggiorno del cittadino dell’Unione presuppone, affinché possa essere esercitato in oggettive condizioni di libertà e di dignità, la concessione di un analogo diritto ai familiari, qualunque sia la loro cittadinanza.
La direttiva 2004/38/CE è stata recepita in Italia con il decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30 che regola il diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio italiano.
L’articolo 7 del citato decreto legislativo riconosce il diritto di soggiornare nel territorio nazionale per un periodo superiore a tre mesi al familiare (come definito dall’articolo 2 dello stesso decreto legislativo n. 30/2007) che accompagna o raggiunge un cittadino dell’Unione che ha i requisiti di soggiorno.
Tale norma fa riferimento a due distinte ipotesi:
a) il familiare che accompagna il cittadino UE che intende soggiornare in Italia in quanto in possesso di un autonomo titolo di soggiorno (ad esempio: contratto di lavoro, ecc.);
b) il familiare che intende ricongiungersi al cittadino UE che già soggiorna regolarmente in Italia ed è già iscritto anagraficamente nel comune di residenza.
Ai fini del decreto legislativo n. 30/2007, conformemente a quanto disposto dall’articolo 2 della direttiva 2004/38/CE, sono considerati familiari:
– il coniuge;
– il partner che abbia contratto un’unione registrata equiparata al matrimonio;
– i discendenti diretti propri o del coniuge (o del partner) di età inferiore a 21 anni;
– i discendenti diretti a carico di età pari o superiore a 21 anni, propri o del coniuge (o del partner);
– gli ascendenti diretti a carico, propri o del coniuge (o del partner).
Il Ministero dell’Interno nella circolare del 18 luglio 2007 n. 39 specifica che nell’individuazione dei discendenti e degli ascendenti diretti si prescinde dal grado di parentela, quindi anche nonni e nipoti rientrano nel concetto di familiare.
Con la legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze), alla figura del coniuge deve essere equiparata la parte dell’unione civile [1].
La Commissione delle Comunità Europee nella comunicazione del 2 luglio 2009 al Parlamento europeo e al Consiglio [2] ha affermato che la nozione di parenti diretti in linea discendente o ascendente si estende alle relazioni adottive o ai minori posti sotto la custodia di un tutore legale permanente. Anche i bambini in affidamento e i genitori affidatari con custodia temporanea possono godere dei diritti conferiti dalla direttiva in funzione della solidità del legame instaurato nel caso particolare.
Il diritto riguarda il familiare del cittadino dell’Unione a prescindere dalla cittadinanza posseduta, in quanto è riconosciuto sia al familiare che è cittadino di uno Stato membro sia al familiare extracomunitario.

Il familiare comunitario del cittadino dell’Unione

Il familiare, così come individuato sopra, mutua il diritto di soggiorno dal cittadino comunitario che presenta autonomi requisiti di soggiorno in quanto:
a) è lavoratore subordinato o autonomo nello Stato;
b) dispone di risorse economiche sufficienti e di un’assicurazione sanitaria;
c) è iscritto presso un istituto per seguire un corso di studi o di formazione professionale e dispone di risorse economiche sufficienti e di un’assicurazione sanitaria.
Occorre evidenziare relativamente alle lettere b) e c) che, mentre i familiari del lavoratore hanno la copertura delle spese sanitarie garantita dal Servizio Sanitario Nazionale, i familiari del cittadino UE inattivo o che soggiorna in Italia per motivi di studio o di formazione professionale devono produrre una polizza di assicurazione sanitaria idonea a coprire tutti i rischi sul territorio nazionale. Tale polizza può essere la stessa di cui dispone il cittadino che ha i requisiti autonomi ma deve espressamente contemplare i rischi sanitari anche in riferimento a tutti i familiari che con lui soggiornano.
Inoltre la disponibilità delle risorse economiche, sempre relativamente alle lettere b) e c) deve essere riparametrata in funzione del numero di familiari del cittadino UE che lo accompagnano o che a lui si ricongiungono.
Nel caso invece dei familiari del lavoratore non è mai richiesta alcuna disponibilità di risorse economiche, in quanto già la qualità di lavoratore è condizione sufficiente per godere del diritto di soggiorno e per estenderlo ai familiari, indipendentemente dall’entità del corrispettivo percepito per l’attività lavorativa svolta.
In ognuna delle ipotesi sopra esaminate i familiari, pur non disponendo di requisiti che danno titolo al soggiorno, possono rimanere in Italia per più di tre mesi in virtù del legame con il cittadino comunitario dotato di autonomo diritto di soggiorno.
Il primo aspetto che l’ufficiale d’anagrafe deve verificare è quello della relazione di parentela fra il cittadino dell’Unione che trasmette i requisiti e il familiare. Tale relazione dovrà essere dimostrata attraverso la presentazione di atti autentici rilasciati dalle competenti autorità dello Stato membro, purché in regola con le norme sulla legalizzazione e sulla traduzione [3].
Per i discendenti (figli e nipoti) di età pari o superiore a 21 anni e per gli ascendenti (genitori e nonni) occorre anche verificare la condizione di vivenza a carico. Come precisato al punto 2 della circolare del Ministero dell’interno n. 19 del 6 aprile 2007, la qualità di vivenza a carico può essere attestata mediante la dichiarazione sostitutiva di cui all’articolo 47 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445.
L’allegato B alla circolare del Ministero dell’Interno del 27 aprile 2012, n. 9 prevede che la dichiarazione di vivenza a carico (per tutti gli ascendenti e per i discendenti ultra 21enni) deve essere resa dal cittadino dell’Unione in possesso di autonomi requisiti di soggiorno.
Il secondo aspetto che l’ufficiale d’anagrafe deve verificare è quello sull’attuale possesso dei requisiti di soggiorno da parte del cittadino dell’Unione che trasmette il diritto di soggiorno al familiare. Occorre quindi verificare se il cittadino UE che trasmette il diritto di soggiorno sia attualmente in possesso dei requisiti previsti dall’articolo 7, comma 1, lettere a), b) o c) del decreto legislativo n. 30/2007.

Il familiare extracomunitario del cittadino dell’Unione

L’articolo 7 del citato decreto legislativo n. 30/2007 prevede al secondo comma che il diritto di soggiorno è esteso ai familiari non aventi la cittadinanza di uno Stato membro quando accompagnano o raggiungono nel territorio nazionale il cittadino dell’Unione, purché quest’ultimo sia in possesso dei requisiti di soggiorno (in sostanza sia lavoratore o sia in possesso di risorse economiche sufficienti e di una assicurazione a copertura dei rischi sanitari). Il familiare extracomunitario, trascorsi tre mesi dall’ingresso nel territorio nazionale, richiede alla questura competente per territorio di residenza la “carta di soggiorno di familiare di un cittadino dell’Unione”.
Il Ministero dell’interno nell’allegato B) della circolare del 27 aprile 2012, n. 9 ha indicato quale documentazione obbligatoria ai fini dell’iscrizione in anagrafe del cittadino extracomunitario, familiare di cittadino UE:
1) la copia del passaporto;
2) la carta di soggiorno di familiare di cittadino dell’Unione, oppure ricevuta della richiesta di rilascio di carta di soggiorno.
Quindi subito dopo la presentazione in questura della richiesta della carta di soggiorno, il familiare del cittadino UE può rendere la dichiarazione anagrafica esibendo unicamente il passaporto e la ricevuta della richiesta della carta di soggiorno.

Gli altri familiari del cittadino dell’Unione 

La direttiva 2004/38/CE riconosce un trattamento preferenziale anche agli altri familiari del cittadino dell’Unione, agevolandone l’ingresso e il soggiorno. La finalità è quella di preservare le relazioni del cittadino dell’Unione con le persone che non rientrano nella definizione di familiare vista sopra.
Mentre il familiare così come definito dall’articolo 2 della direttiva gode di un diritto automatico di ingresso e di soggiorno, la situazione degli “altri familiari” dovrebbe essere esaminata dallo Stato membro ospitante sulla base della propria legislazione nazionale, al fine di decidere se l’ingresso e il soggiorno possano essere concessi a tali persone, tenendo conto della loro relazione di stabile convivenza con il cittadino dell’Unione o di qualsiasi altra circostanza, quali la dipendenza finanziaria o fisica dal cittadino dell’Unione.
Si tratta:
a) di ogni altro familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, se è a carico o convive, nel paese di provenienza, con il cittadino dell’Unione titolare del diritto di soggiorno a titolo principale o se gravi motivi di salute impongono che il cittadino dell’Unione lo assista personalmente;
b) del partner con cui il cittadino dell’Unione abbia una relazione stabile debitamente attestata.
Il decreto legislativo n. 30/2007 si è limitato a riproporre in maniera quasi identica la norma comunitaria senza prevedere nello specifico nessun meccanismo di agevolazione dell’ingresso o del soggiorno di questa categoria di persone [4].
Il Ministero dell’Interno nella circolare n. 39 del 18 luglio 2007 afferma infatti che, se si tratta di cittadini dell’Unione, per l’iscrizione anagrafica occorrerà richiedere la seguente documentazione:
a) documentazione dello Stato del cittadino dell’Unione, titolare del diritto di soggiorno, dalla quale risulti il rapporto parentale ovvero la relazione stabile, registrata nel medesimo Stato;
b) autodichiarazione del cittadino dell’Unione della qualità di familiare a carico o convivente, ovvero della sussistenza di gravi motivi di salute che impongono l’assistenza personale da parte del cittadino dell’Unione avente autonomo diritto di soggiorno;
c) assicurazione sanitaria ovvero altro titolo comunque denominato idoneo a coprire tutti i rischi nel territorio nazionale;
d) autodichiarazione del cittadino dell’Unione della disponibilità di risorse sufficienti per sé ed il familiare o il convivente, secondo i criteri di cui all’articolo 29, comma 3, lettera b), del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.
La circolare del Ministero dell’Interno del 18 luglio 2007, n. 39 mette in luce come nella pratica non sia previsto un trattamento preferenziale della categoria degli “altri familiari” rispetto al cittadino inattivo che proviene dall’estero; viene infatti richiesta comunque la disponibilità di risorse economiche sufficienti e la titolarità di una assicurazione sanitaria.
L’unica vera agevolazione riguarda coloro che sono cittadini di Paesi non appartenenti all’Unione europea e che non sono titolari di un autonomo diritto di soggiorno: questi ultimi possono chiedere il rilascio del permesso di soggiorno per residenza elettiva ai sensi dell’articolo 5 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.

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[1] L’articolo 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze) prevede infatti che “al solo fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso (…)”.

[2] La comunicazione del 2 luglio 2009 della Commissione delle Comunità Europee al Parlamento europeo e al Consiglio ha ad oggetto: “Guida ad una migliore trasposizione e applicazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente all’interno del territorio degli Stati membri”.

[3] A seguito dell’entrata in vigore del Regolamento UE 2016/1191, possono essere prodotti certificati, senza necessità di legalizzazione o di apostille, unitamente ai moduli standard multilingue utilizzati a supporto della traduzione.

[4] L’articolo 3, comma 2, del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30 stabilisce che “Senza pregiudizio del diritto personale di libera circolazione e di soggiorno dell’interessato, lo Stato membro ospitante, conformemente alla sua legislazione nazionale, agevola l’ingresso e il soggiorno delle seguenti persone:
a) ogni altro familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, non definito all’articolo 2, comma 1, lettera b), se è a carico o convive, nel paese di provenienza, con il cittadino dell’Unione titolare del diritto di soggiorno a titolo principale o se gravi motivi di salute impongono che il cittadino dell’Unione lo assista personalmente;
b) il partner con cui il cittadino dell’Unione abbia una relazione stabile debitamente attestata con documentazione ufficiale”.

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[1] L’articolo 1, comma 20, della legge 20 maggio 2016, n. 76 (Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze) prevede infatti che “al solo fine di assicurare l’effettività della tutela dei diritti e il pieno adempimento degli obblighi derivanti dall’unione civile tra persone dello stesso sesso, le disposizioni che si riferiscono al matrimonio e le disposizioni contenenti le parole «coniuge», «coniugi» o termini equivalenti, ovunque ricorrono nelle leggi, negli atti aventi forza di legge, nei regolamenti nonché negli atti amministrativi e nei contratti collettivi, si applicano anche ad ognuna delle parti dell’unione civile tra persone dello stesso sesso (…)”.

[2] La comunicazione del 2 luglio 2009 della Commissione delle Comunità Europee al Parlamento europeo e al Consiglio ha ad oggetto: “Guida ad una migliore trasposizione e applicazione della direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell’Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente all’interno del territorio degli Stati membri”.

[3] A seguito dell’entrata in vigore del Regolamento UE 2016/1191, possono essere prodotti certificati, senza necessità di legalizzazione o di apostille, unitamente ai moduli standard multilingue utilizzati a supporto della traduzione.

[4] L’articolo 3, comma 2, del decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30 stabilisce che “Senza pregiudizio del diritto personale di libera circolazione e di soggiorno dell’interessato, lo Stato membro ospitante, conformemente alla sua legislazione nazionale, agevola l’ingresso e il soggiorno delle seguenti persone:
a) ogni altro familiare, qualunque sia la sua cittadinanza, non definito all’articolo 2, comma 1, lettera b), se è a carico o convive, nel paese di provenienza, con il cittadino dell’Unione titolare del diritto di soggiorno a titolo principale o se gravi motivi di salute impongono che il cittadino dell’Unione lo assista personalmente;
b) il partner con cui il cittadino dell’Unione abbia una relazione stabile debitamente attestata con documentazione ufficiale”.

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