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ANAGRAFE - La Brexit e la particolare tutela offerta dall’Accordo di recesso ai cittadini britannici già soggiornanti in Italia

I cittadini britannici residenti in Italia continuano a vivere in una situazione di incertezza. Per affrontare questa problematica, il Ministero dell’Interno ha emanato la circolare n. 66 del 17 giugno 2024, in risposta a una segnalazione dell’Ambasciata del Regno Unito

Approfondimento di W. Damiani

Continua a generare dubbi e incertezze la particolare condizione in cui si trovano i cittadini britannici che vivono da tempo in Italia. La circolare del Ministero dell’Interno n. 66 del 17 giugno 2024 è stata emanata proprio per risolvere tale criticità in seguito alla segnalazione dell’Ambasciata del Regno Unito in Italia.

Come tutte le divisioni, consensuali o meno che siano, anche la Brexit ha prodotto una serie di conseguenze per un’ampia categoria di persone. Ci riferiamo in particolare ai cittadini dell’Unione Europea che vivevano nel Regno Unito e ai cittadini britannici che abitavano in un altro Stato membro prima che venisse sancita la separazione. Da notare che molte di queste persone non hanno nemmeno potuto esprimere il proprio voto nel referendum tenuto oltre Manica nel 2016 (i cittadini britannici residenti all’estero potevano infatti votare solo se assenti da meno di 15 anni).
In questo contributo prendiamo in esame la particolare condizione in cui si trovano i cittadini del Regno Unito che vivono da tempo in Italia, che continua a generare dubbi e incertezze negli uffici anagrafe della penisola. Tali difficoltà sono comprovate dal fatto che il Ministero dell’Interno è dovuto recentemente intervenire con la circolare n. 66 del 17 giugno 2024, in seguito ai problemi segnalati da tali cittadini nell’ottenimento dell’attestazione di soggiorno permanente.

Il processo di uscita del Regno Unito dall’Unione Europea e l’accordo di recesso

Tutto è iniziato con il referendum del 23 giugno 2016 svolto nel Regno Unito che ha decretato l’intenzione di recedere dall’Unione Europea. La Brexit ha avuto diverse tappe cruciali che hanno portato al recesso effettivo il 1° febbraio 2020: da tale data il Regno Unito ha cessato conseguentemente di esserne uno Stato membro ed è diventato a tutti gli effetti un Paese terzo.
Una delle prime preoccupazioni fu quella di tutelare da un lato i cittadini degli altri Stati dell’Unione residenti nel Regno Unito e dall’altro lato i cittadini britannici che vivevano nel continente. Per entrambi la Brexit poteva infatti determinare conseguenze negative in termini di soggiorno e pregiudicare quindi le scelte di vita maturate in passato e il loro legittimo affidamento per il futuro.
Tale protezione è stata prevista nell’Accordo di recesso dall’Unione Europea del Regno Unito, firmato a Bruxelles e a Londra il 24 gennaio 2020 (Gazzetta dell’U.E. n. L 29/189 del 31/01/2020) ed entrato in vigore dal 1° febbraio 2020.
L’Accordo di recesso è suddiviso in sei parti: la seconda contiene un quadro dettagliato per assicurare la conservazione reciproca dei diritti di soggiorno già maturati per i cittadini dell’Unione e per quelli del Regno Unito.
Innanzitutto occorre evidenziare che l’Accordo di recesso è una fonte del diritto vincolante per gli Stati membri (quindi anche per l’Italia) in virtù dell’articolo 216, paragrafo secondo del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) [1]. Trattandosi di un accordo dell’Unione, nella gerarchia delle fonti del diritto comunitario, esso è subordinato al Trattato ma prevale sulle direttive e sui regolamenti. L’Accordo di recesso è direttamente applicabile in Italia, pertanto i funzionari della pubblica amministrazione, ivi compresi gli ufficiali d’anagrafe, sono tenuti all’osservanza delle disposizioni in esso contenute.

Il periodo di transizione (dal 1° febbraio 2020 al 31 dicembre 2020)

La parte quarta dell’Accordo di recesso ha previsto un periodo di transizione che decorre dal 1° febbraio 2020 (data di entrata in vigore dell’Accordo) e termina il 31 dicembre 2020. Gli articoli 126 e 127 dell’Accordo hanno previsto che, per tutto il periodo di transizione, il diritto di soggiorno dei cittadini britannici (indipendentemente dalla loro residenza) continuava ad essere interamente regolato dalla direttiva 2004/38/UE. In sostanza i cittadini del Regno Unito che si sono trasferiti in Italia nel periodo compreso fra febbraio e dicembre del 2020 sono stati trattati, ai fini del diritto di soggiorno, allo stesso modo dei cittadini di uno Stato dell’Unione.
Come indicato nella circolare del Ministero dell’Interno n. 3 del 11 febbraio 2020 questi cittadini (ed i propri familiari) potevano iscriversi in anagrafe, semplicemente comprovando il possesso dei requisiti di soggiorno previsti dal decreto legislativo 6 febbraio 2007, n. 30.

Fine del periodo di transizione (dopo il 31 dicembre 2020)

Il 31 dicembre 2020 rappresenta la data fondamentale per capire il regime da applicare ai cittadini britannici che soggiornano in Italia.
L’Accordo di recesso istituisce un regime speciale per coloro che hanno esercitato il diritto di soggiorno in Italia prima del 31 dicembre 2020 e che hanno continuato a soggiornare anche dopo tale data. Da notare che si fa riferimento al soggiorno in Italia, non all’iscrizione anagrafica, quindi rientrano in tale protezione anche i cittadini britannici già soggiornanti al 31 dicembre 2020, ma non ancora iscritti anagraficamente. Il cittadino britannico beneficiario dell’Accordo di recesso potrà conservare questo particolare status per tutta la vita, purché continui a soggiornare sul territorio italiano [2].
Invece i cittadini britannici che andranno a risiedere in uno Stato membro dell’Unione dopo il 31 dicembre 2020 saranno considerati ai fini del soggiorno alla pari dei cittadini di Paesi terzi. Conseguentemente il cittadino del Regno Unito giunto in Italia dopo tale data dovrà rispettare la normativa nazionale in materia di immigrazione (decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 e decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394) e quindi, ai fini dell’iscrizione anagrafica, dovrà dimostrare la propria condizione di regolarità di soggiorno.

La dimostrazione del regime speciale tutelato dall’Accordo di recesso

Abbiamo visto che ai cittadini britannici già in Italia alla data del 31 dicembre 2020 è riconosciuto un particolare regime che consente di mantenere il diritto di soggiorno anche per il periodo successivo.
Per il riconoscimento di tale “status”, l’Italia ha optato per cosiddetto procedimento dichiarativo previsto dall’articolo 18.4 dell’Accordo, per cui è stato impostato un sistema che riconosce in via automatica i diritti previsti dall’Accordo senza l’obbligo (per i cittadini) di richiedere un’autorizzazione al soggiorno [3].
La carta di soggiorno rilasciata dalla Questura – La scelta del procedimento dichiarativo ha comportato per il cittadino britannico (già soggiornante alla data del 31 dicembre 2020) la possibilità, non l’obbligo, di richiedere alla questura competente il rilascio della carta di soggiorno [4].
Se vogliono ottenere tale documento, i cittadini britannici dovranno presentare l’attestazione d’iscrizione anagrafica rilasciata ai sensi dell’articolo 18.4 dell’Accordo di recesso (prevista dalla circolare del Ministero dell’interno n. 3/2020) oppure autocertificare di essere iscritti in anagrafe prima del 31 dicembre 2020 . L’iscrizione anagrafica, comprovata dalla relativa attestazione o autocertificata dal cittadino, costituisce sicuramente la prova principale, ma non esclusiva, in quanto i cittadini britannici che non risultino iscritti in anagrafe entro il 31 dicembre 2020, ma che dimostrino in qualsiasi momento, tramite idonea documentazione, la legale permanenza sul territorio nazionale alla medesima data, potranno, comunque, chiedere il rilascio del documento di soggiorno alla competente questura (si veda in proposito la circolare del Ministero dell’Interno n. 2 del 2 febbraio 2021).
La carta di soggiorno, a differenza del permesso di soggiorno “classico”, non ha la funzione di autorizzare il soggiorno (come nel caso dei cittadini extraUE), ma ha solo il compito di documentare e di certificare che il titolare beneficia dei diritti previsti dall’accordo di recesso. A partire quindi dal 1° gennaio 2021 ai cittadini britannici e ai loro familiari (anche extracomunitari) le questure rilasciano, su richiesta, un documento elettronico di soggiorno recante la dicitura “Carta di Soggiorno – Art. 18.4 Accordo di Recesso UE-UK” con validità di 5 anni.
Se il cittadino britannico non richiede la carta di soggiorno (abbiamo visto che si tratta di una facoltà), potrà comunque comprovare la sua qualità di beneficiario dell’Accordo in qualsiasi momento, dimostrando mediante idonea documentazione (ad esempio: un contratto di lavoro) la legale permanenza sul territorio italiano alla data del 31 dicembre 2020.

L’attestazione di iscrizione anagrafica

Il Ministero dell’interno nella circolare del 11 febbraio 2020 n. 3 ha affermato che, per esercitare i diritti previsti dall’Accordo dopo la fine del periodo di transizione, i cittadini britannici ed i loro familiari hanno diritto di chiedere e ottenere l’attestazione di iscrizione anagrafica; tale documento ha la funzione di certificare che l’iscrizione anagrafica è avvenuta entro il 31 dicembre 2020 e che quindi il cittadino britannico era già in possesso dei requisiti di soggiorno previsti dal decreto legislativo n. 30/2007 alla data di fine del periodo transitorio.
Tale attestazione, se richiesta, dovrà essere rilasciata in ogni momento, anche dopo il 31 dicembre 2020, in quanto ha solo la finalità di documentare l’avvenuta iscrizione anagrafica, così come confermato dal Ministero dell’interno nella circolare del 2 febbraio 2021, n. 2.

I familiari del cittadino britannico

L’Accordo di recesso tutela anche i familiari del cittadino britannico, a prescindere dalla cittadinanza posseduta. Anche per i familiari vale la regola per cui devono essere soggiornanti in Italia prima del 31 dicembre 2020 e continuare a risiedere dopo tale data.
L’Accordo di recesso all’articolo 10 tutela comunque anche i familiari il cui soggiorno in Italia inizi dopo il 31 dicembre 2020, a condizione che il vincolo sia sorto prima di tale data (matrimonio già avvenuto, figli già nati o adottati, ecc.).
Beneficiano infine dell’Accordo di recesso anche i figli, nati o adottati dopo la fine del periodo di transizione in Italia o in un altro Stato, a condizione che:

  • entrambi i genitori siano cittadini del Regno Unito che soggiornavano in Italia prima del 31 dicembre 2020 e continuano a soggiornare in seguito;
  • uno dei genitori è un cittadino del Regno Unito che soggiorna in Italia prima del 31 dicembre 2020 e continua a soggiornare in seguito, ed è titolare di un diritto di affidamento esclusivo, congiunto o condiviso del minore, acquisito in virtù di una decisione giudiziaria, della legge o di un accordo in vigore.

Il citato articolo 10 tutela anche i figli nati o adottati (dopo la fine del periodo di transizione) qualora uno dei genitori è cittadino del Regno Unito beneficiario dell’Accordo di recesso e l’altro è cittadino del Paese ospitante. In tal caso la protezione offerta dall’Accordo è superata dal fatto che il figlio è cittadino italiano in virtù della trasmissione della cittadinanza da parte del genitore.

L’iscrizione anagrafica del cittadino britannico

È ancora possibile che un cittadino britannico, già legalmente soggiornante in Italia alla data del 31 dicembre 2020, non abbia ancora richiesto l’iscrizione anagrafica in Italia.
Il Ministero dell’Interno con la circolare del 2 febbraio 2021, n. 2 ha affermato che “i cittadini britannici che non risultino iscritti in anagrafe entro il 31 dicembre 2020, ma che dimostrino in qualsiasi momento, tramite idonea documentazione, la legale permanenza sul territorio nazionale alla medesima data, potranno, comunque, chiedere il rilascio del documento di soggiorno elettronico alla competente questura nonché l’iscrizione in anagrafe, ai sensi del decreto legislativo n. 30/2007”.
Considerato che la richiesta della carta di soggiorno è una facoltà e non un obbligo per i britannici che già soggiornavano sul territorio prima del 31 dicembre 2020, la dichiarazione di residenza con la quale richiedere l’iscrizione anagrafica può essere presentata indipendentemente dal possesso o meno del titolo di soggiorno rilasciato dalla Questura [5]. Semplicemente il richiedente dovrà comprovare il suo particolare status, dimostrando mediante idonea documentazione la legale permanenza in Italia alla data del 31 dicembre 2020.

L’attestazione di soggiorno permanente e la circolare del Ministero dell’Interno n. 66 del 17 giugno 2024

Sulla base dell’Accordo di recesso, i cittadini britannici residenti in Italia alla data del 31 dicembre 2020, anche successivamente a tale data, hanno diritto al rilascio dell’attestazione di soggiorno permanente, nel caso di soggiorno legale e continuativo nel territorio nazionale per cinque anni.
L’articolo 15 dell’Accordo di recesso prevede che, nel calcolo del periodo necessario per l’acquisizione del diritto di soggiorno permanente, sono inclusi i periodi di soggiorno legale o di lavoro in conformità del diritto dell’Unione che precedono o seguono la fine del periodo di transizione. Il successivo articolo 16 specifica che i cittadini del Regno Unito, nonché i rispettivi familiari, che prima della fine del periodo di transizione abbiano soggiornato legalmente nello Stato ospitante per un periodo inferiore a cinque anni, hanno il diritto di acquisire il diritto di soggiorno permanente una volta completati i periodi di soggiorno necessari.
A fronte di una non corretta applicazione di tale normativa, il Ministero dell’Interno con la circolare del 17 giugno 2024, n. 66 è intervenuto per ribadire che i Comuni sono tenuti a rilasciare l’attestazione di soggiorno permanente ai cittadini britannici e ai loro familiari protetti dall’Accordo, anche laddove il periodo di 5 anni sia maturato successivamente alla data del 31 dicembre 2020.
Nel caso in cui l’interessato abbia maturato il diritto di soggiorno permanente, potrà richiedere (anche in questo caso si tratta di una facoltà e non di un obbligo) alla competente questura il rilascio della carta di soggiorno permanente con validità di 10 anni.
Da ultimo si osserva che l’articolo 15.3 dell’Accordo di recesso prevede la perdita del diritto di soggiorno permanente soltanto a seguito di assenza dallo Stato membro ospitante di durata superiore a cinque anni consecutivi, a differenza di quanto previsto in generale dall’articolo 16 della direttiva 2004/38/CE sulla libera circolazione (che prevede un’assenza di 2 anni).

_________

[1] Si riporta l’articolo 216 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE):

  1. L’Unione può concludere un accordo con uno o più paesi terzi o organizzazioni internazionali qualora i trattati lo prevedano o qualora la conclusione di un accordo sia necessaria per realizzare, nell’ambito delle politiche dell’Unione, uno degli obiettivi fissati dai trattati, o sia prevista in un atto giuridico vincolante dell’Unione, oppure possa incidere su norme comuni o alterarne la portata.
  2. Gli accordi conclusi dall’Unione vincolano le istituzioni dell’Unione e gli Stati membri.

[2] Gli articoli 11 e 15 dell’Accordo di recesso in merito alla continuità del soggiorno fanno riferimento alle assenze previste:
– dall’articolo 16, paragrafo 3, della direttiva 2004/38/CE, per cui “La continuità della residenza non è pregiudicata da assenze temporanee che non superino complessivamente sei mesi all’anno né da assenze di durata superiore per l’assolvimento degli obblighi militari né da un’assenza di dodici mesi consecutivi al massimo dovuta a motivi rilevanti, quali gravidanza e maternità, malattia grave, studi o formazione professionale o il distacco per motivi di lavoro in un altro Stato membro o in un paese terzo”;
– dall’articolo 21 della direttiva 2004/38/CE, per cui “La continuità del soggiorno, ai fini della presente direttiva, può essere comprovata con qualsiasi mezzo di prova ammesso dallo Stato membro ospitante. La continuità del soggiorno è interrotta da qualsiasi provvedimento di allontanamento validamente eseguito nei confronti della persona interessata”.
[3] L’alternativa, a cui lo Stato italiano non ha aderito, era quella del procedimento costitutivo, previsto dall’articolo 18.1 dell’accordo, per cui è previsto un sistema di registrazione obbligatoria per le persone che alla fine del periodo di transizione erano in possesso dei requisiti di soggiorno previsti dalla normativa comunitaria, mediante il rilascio di un permesso di soggiorno.
[4] Al richiedente è rilasciato un titolo di soggiorno in formato elettronico secondo il modello previsto dal Regolamento CE n. 1030/2002 come modificato dal Regolamento UE n. 2017/1954.
[5] Si ricorda in proposito infatti che l’articolo 25 della direttiva 2004/38/CE prevede che “Il possesso di un attestato d’iscrizione di cui all’articolo 8, di un documento che certifichi il soggiorno permanente, della ricevuta della domanda di una carta di soggiorno di familiare di una carta di soggiorno o di una carta di soggiorno permanente, non può in nessun caso essere un prerequisito per l’esercizio di un diritto o il completamento di una formalità amministrativa, in quanto la qualità di beneficiario dei diritti può essere attestata con qualsiasi altro mezzo di prova”.

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