ANAGRAFE - Le sanzioni anagrafiche saranno il tormentone dell’estate 2024 per i servizi demografici

In questo approfondimento cerchiamo di fornire agli ufficiali d’anagrafe gli strumenti operativi necessari per avviare l’attività sanzionatoria in caso di ritardo o omissione della dichiarazione anagrafica

Approfondimento di W. Damiani

In questo approfondimento cerchiamo di fornire agli ufficiali d’anagrafe gli strumenti operativi necessari per avviare l’attività sanzionatoria in caso di ritardo o omissione della dichiarazione anagrafica, secondo quanto previsto dal nuovo articolo 11 della legge 24 dicembre 1954, n. 1228, come modificato dalla legge di bilancio 2024 e alla luce delle istruzioni del Ministero dell’interno contenute nella circolare n. 35 del 18 aprile 2024.

Ogni estate porta con sé una colonna sonora unica, fatta di canzoni che diventano popolari grazie alla loro diffusione costante e ripetuta su radio, televisione e social media. Questi brani hanno solitamente il potere di evocare giornate di vacanza, feste sulla spiaggia e momenti di spensieratezza. L’estate del 2024 sarà ricordata dai colleghi dell’anagrafe anche per un altro tormentone, purtroppo non musicale, che sta entrando di prepotenza nei nostri uffici: le sanzioni amministrative.
Approvata la legge, emanata la circolare del Ministero e conclusa la tornata elettorale, è giunto il momento, non più rimandabile, di prendere il toro per le corna e concentrare la nostra attenzione su questa scomoda, ma inevitabile, attività.
È “scomoda” perché riguarda una materia di enorme complessità, oltre che di non facile adattamento alle regole anagrafiche. Nella newsletter di aprile abbiamo detto che accertare una violazione di un obbligo anagrafico è qualcosa di molto più difficile che rilevare un’infrazione al codice della strada, quale un eccesso di velocità o una sosta non consentita. Stabilire se una persona si è trasferita in un luogo diverso da quello di iscrizione anagrafica, richiede infatti un’attenta valutazione di una serie di elementi, idonei a denotare abitudini e comportamenti individuali, che per la loro specificità possono richiedere anche un tempo prolungato.
È “inevitabile” perché, secondo un indiscusso principio del diritto amministrativo, la pubblica amministrazione non può rinunciare ad utilizzare il proprio potere sanzionatorio. Di conseguenza il dipendente che omette i doverosi accertamenti delle violazioni può rispondere a titolo di responsabilità erariale, qualora l’amministrazione perda di incassare quanto dovuto a titolo di sanzione pecuniaria [1].
In questo approfondimento cerchiamo di fornire ai lettori gli strumenti operativi per avviare l’attività sanzionatoria, distinguendo il caso del ritardo da quello dell’omissione della dichiarazione anagrafica.
Il nuovo articolo 11 della legge 24 dicembre 1954, n. 1228, così come modificato dalla legge di bilancio 2024, prevede infatti due distinte condotte antigiuridiche a cui deve far seguito l’avvio della procedura sanzionatoria da parte dell’ufficiale d’anagrafe:

  • il ritardo, per cui la persona rende la dichiarazione anagrafica dovuta oltre i termini previsti dalla norma;
  • l’omissione, per cui il soggetto obbligato non presenta nessuna dichiarazione anagrafica, nemmeno a seguito di apposito invito.

Solo per esigenze di semplificazione prenderemo come riferimento il caso della dichiarazione di trasferimento di residenza da un comune all’altro, che rientra fra gli obblighi anagrafici la cui violazione è contemplata dal primo comma dell’articolo 11 della legge anagrafica e per la quale è prevista una sanzione amministrativa pecuniaria da 100 a 500 euro. 

Come si accerta il ritardo nella presentazione della dichiarazione anagrafica?

Sappiamo che le dichiarazioni anagrafiche relative alle mutazioni di residenza devono essere presentate entro il termine di 20 giorni da quando si è verificato il fatto, ossia l’effettivo trasferimento della dimora abituale [2].
Determinare esattamente il momento in cui una persona ha trasferito la residenza risulta praticamente impossibile senza la collaborazione dell’interessato. Tuttavia la datazione dell’evento è fondamentale per poter accertare l’eventuale ritardo e quindi la possibile violazione della norma anagrafica.
Il problema della necessità di individuare il “dies a quo”, ovvero la data in cui si è verificato il fatto, è stato affrontato dal Ministero dell’interno nella circolare del 18 aprile 2024 n. 35. La nota ministeriale indica la seguente soluzione:

  • in presenza di segnalazioni da parte di altro comune ai sensi dell’articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica n. 223/1989, o di altre risultanze indicative del trasferimento di fatto della residenza, il predetto termine decorre da tale comunicazione;
  • in mancanza di riferimenti precisi, per poter individuare con certezza il dies a quo, l’ufficiale d’anagrafe è tenuto ad invitare mediante apposita comunicazione il cittadino a rendere le dichiarazioni dovute, avvisandolo che scaduti i prescritti 20 giorni incorrerà nelle sanzioni previste dall’articolo 11 della legge n. 1228/1954.

Si ricorre pertanto ad una finzione giuridica: nell’impossibilità di conoscere la data reale del trasferimento, questo si considera avvenuto il giorno in cui la notizia assume una veste formale. Ciò naturalmente non può costituire l’accertamento della violazione; si tratta infatti di un primo riferimento che, qualora venisse confermato, consentirebbe di datare il trasferimento di residenza, anche ai fini del calcolo dell’eventuale ritardo da parte dell’interessato nella presentazione della dichiarazione.
In ogni caso, una volta individuata tale data, si possono verificare le seguenti ipotesi:
a) nessuna violazione: l’interessato si presenta entro 20 giorni e rende la dichiarazione anagrafica. In questo caso non vi è ritardo e conseguentemente non si avvia nessuna attività sanzionatoria. Oppure l’interessato potrebbe dimostrare all’ufficiale d’anagrafe di non aver trasferito la propria dimora abituale, in quanto la permanenza nel nuovo indirizzo ha carattere temporaneo [3];
b) ravvedimento operoso: l’interessato rende la dovuta dichiarazione anagrafica dopo i 20 giorni, ma il ritardo non supera i 90 giorni (in sostanza la dichiarazione è presentata fra il 21° e il 110° giorno successivo) e non è stata data formale conoscenza al medesimo dell’avvio di attività amministrative di accertamento della violazione. Questa formulazione utilizzata dal legislatore, tradotta in termini anagrafici, significa che non deve essere stata inviata la comunicazione di avvio del procedimento di mutazione d’ufficio. Si configura in questo caso una sorta di ravvedimento operoso da parte del trasgressore, per cui è prevista la sanzione minore, pari ad un decimo del minimo (nel caso della mutazione di residenza è pari a 10 euro);
c) ritardo pienamente sanzionabile: l’interessato presenta la dichiarazione con un ritardo superiore a 90 giorni (quindi dopo il 110° giorno successivo alla data in cui si considera avvenuto il trasferimento) o comunque dopo che è stato a lui formalmente comunicato l’avvio del procedimento d’ufficio preordinato alla regolarizzazione della posizione anagrafica. In questo caso la norma prevede la sanzione amministrativa pecuniaria da un minimo di 100 ad un massimo di 500 euro.
Una volta definito il cambio di residenza, l’ufficiale d’anagrafe avvia la procedura sanzionatoria, con la redazione del verbale dell’accertamento e contesta l’infrazione anagrafica notificandolo al trasgressore [4], sempreché non sia possibile la contestazione immediata così come previsto dall’articolo 14 della legge n. 689/1981 [5].
Nel caso di cui alla lettera c) (per cui il ritardo è sanzionato nella misura da euro 100 a euro 500) il trasgressore avrà la possibilità di estinguere il procedimento sanzionatorio mediante il pagamento in misura ridotta di euro 166,67 entro 60 giorni dalla notifica del verbale. Sebbene non sia previsto dalla legge, nel verbale deve essere espressamente indicata tale possibilità [6].
Ove il pagamento non avvenga nei 60 giorni successivi alla notifica del verbale, l’ufficiale d’anagrafe, quale soggetto accertatore, è tenuto a trasmettere il rapporto, con la prova delle eseguite contestazioni e notificazioni, all’autorità competente all’irrogazione delle sanzioni [7].

Come si accerta l’omissione della dichiarazione anagrafica?

L’accertamento dell’omissione di una dichiarazione anagrafica comporta inevitabilmente l’intervento dell’ufficiale d’anagrafe mediante un procedimento d’ufficio preordinato a disporre la corretta registrazione anagrafica, nonostante la mancata collaborazione dell’interessato. Possiamo dire che l’accertamento viene praticamente a combinarsi con il provvedimento d’ufficio che dispone la registrazione in anagrafe, il quale può essere correttamente adottato solo al termine di un procedimento amministrativo durante il quale l’ufficiale d’anagrafe dispone i sopralluoghi, acquisisce elementi istruttori, oltre a valutare le eventuali memorie e osservazioni presentate dall’interessato.
Allo stesso modo l’accertamento della violazione, secondo la costante giurisprudenza della Corte di cassazione, si configura non nel momento in cui il soggetto accertatore ha la percezione del fatto, ma quando acquisisce la piena conoscenza della condotta illecita, comprensiva anche della valutazione degli elementi emersi durante la fase di verifica [8]. La distinzione è importante perché implica che l’accertamento non si conclude con la mera scoperta di un fatto, ma richiede un processo di analisi e valutazione che porta alla formazione di un giudizio completo sull’illecito. Secondo autorevole dottrina, connaturata alla nozione di accertamento è la commistione di attività conoscitive e valutative di un dato fatto come idoneo ad integrare gli elementi oggettivi e soggettivi di comportamenti integranti illeciti amministrativi che si intrecciano vicendevolmente, culminando in un momento di sintesi finale [9].
Alla luce di tale ricostruzione ci sentiamo di affermare che l’accertamento dell’omissione di una dichiarazione anagrafica coincide con il momento in cui l’ufficiale d’anagrafe può disporre, a conclusione del procedimento amministrativo, la registrazione d’ufficio. La stessa circolare del Ministero dell’interno n. 35/2024 riconosce che il procedimento sanzionatorio sarà avviato, sussistendone i presupposti, una volta definito il procedimento di cambio della residenza.
Operativamente parlando, l’ufficiale d’anagrafe adotta il provvedimento d’ufficio, lo notifica all’interessato e provvede alla conseguente registrazione in anagrafica. Contestualmente redige il verbale dell’accertamento e lo notifica al trasgressore.
Il verbale diviene così lo strumento che ha la funzione di cristallizzare in un atto a rilevanza esterna gli esiti dell’accertamento e che documenta le attività eseguite [10].
Nel caso sia accertata l’omissione della dichiarazione sarà prevista la sanzione amministrativa pecuniaria da 100 a 500 euro, fermo restando la possibilità per il trasgressore di estinguere il procedimento sanzionatorio mediante il pagamento in misura ridotta di euro 166,67 entro 60 giorni dalla notifica del verbale.

Una nuova articolazione dei procedimenti d’ufficio …

La corretta applicazione della nuova disciplina sanzionatoria, anche in relazione alle istruzioni impartite dal Ministero dell’interno, deve indurre, ad avviso dello scrivente, ad apportare alcuni aggiustamenti ai procedimenti anagrafici d’ufficio.
Il riferimento va in particolare alla necessità di tenere distinta la comunicazione con cui si invita l’interessato a rendere la dichiarazione anagrafica dalla comunicazione di avvio del vero e proprio procedimento di mutazione d’ufficio [11].
Finora nella prassi di molti uffici veniva inviata un’unica comunicazione con cui si informava dell’avvio del procedimento di mutazione d’ufficio e al contempo si invitava l’interessato a rendere la dichiarazione anagrafica. Tale soluzione aveva sicuramente il pregio di ridurre gli adempimenti a carico dell’ufficio, semplificando la procedura e garantendo comunque il rispetto delle garanzie di partecipazione procedimentale imposte dalla legge 7 agosto 1990, n. 241.
Oggi però, soprattutto alla luce delle indicazioni contenute nella nota ministeriale, le due comunicazioni devono essere necessariamente distinte anche sotto il profilo temporale:
a) l’invito a rendere la dichiarazione anagrafica costituisce infatti il primo atto con cui si richiama l’interessato ad adempiere ai propri obblighi anagrafici e viene inviato non appena l’ufficiale d’anagrafe ha notizia di un possibile trasferimento di residenza [12]. Ciò costituisce, come afferma il Ministero dell’interno nella circolare n. 35/2024, l’unico modo (in assenza di elementi certi e di riferimenti precisi) per attribuire una data all’evento del trasferimento. Se l’interessato si presenta e rende la dichiarazione si avvierà un procedimento ad istanza di parte e non si attiverà alcun procedimento d’ufficio. Sarà poi compito dell’ufficiale d’anagrafe quello di verificare il possibile ritardo rispetto alla datazione del fatto e contestare eventualmente la violazione. In questo caso, come visto sopra, si potrà avere il ravvedimento operoso qualora il ritardo non superi i 90 giorni, con l’applicazione della sanzione minore (pari ad un decimo del minimo);
b) la comunicazione di avvio del procedimento costituisce invece l’atto con cui si porta ufficialmente a conoscenza dell’interessato l’avvio delle procedure amministrative di accertamento della mutazione di residenza. Da questo momento non potrà esserci più il ravvedimento operoso, nemmeno nel caso in cui il ritardo sia inferiore a 90 giorni.
La soluzione, che ci sentiamo di consigliare e che ci sembra più conforme al dato normativo e alla nota ministeriale, è quella di posticipare l’avvio del procedimento di mutazione d’ufficio e la relativa comunicazione dopo il decorso dei 90 giorni di ritardo, cercando così di favorire il ravvedimento operoso da parte del cittadino [13]. In questo modo si potrà sfruttare tale lasso temporale per acquisire ulteriori elementi valutativi da poter in caso utilizzare nell’eventuale procedimento d’ufficio.
Inutile dire che si tratta di una materia complicata e ricca di insidie: siamo convinti che molte risposte alle nostre domande potranno arrivare solo dal lavoro sul campo e dal confronto costruttivo fra gli operatori. Noi, come di consueto, cerchiamo di offrire un approccio metodico che possa tradursi in soluzioni operative da portare sulle nostre scrivanie.

Ricordiamo che l’argomento delle sanzioni anagrafiche sarà trattato approfonditamente, anche dal punto di vista pratico, nel prossimo videochannel del 24 giugno con possibilità per gli abbonati al sito www.servizidemografici.com e alla rivista “I servizi demografici” di porre domande in anticipo e durante l’evento ai relatori.

_________

[1] Cfr. Corte dei conti, sezione giurisdizionale regionale per l’Umbria, sentenza del 18 ottobre 2020, n. 66; Corte dei conti, sezione giurisdizionale centrale d’appello, sentenza del 19 giugno 2013, n. 407.
[2] L’articolo 13 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223 dispone al secondo comma che “Le dichiarazioni anagrafiche di cui al comma 1 devono essere rese nel termine di venti giorni dalla data in cui si sono verificati i fatti”.
[3] L’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223 prevede al secondo comma che “non cessano di appartenere alla popolazione residente le persone temporaneamente dimoranti in altri comuni (…)”. L’Istat nella circolare “Metodi e norme” serie B – n. 29 – edizione 1992 afferma che “tra le categorie di cui al comma 2 dell’art. 3 devono essere comprese:

  1. a) quelle che si recano all’estero per un periodo inferiore ad un anno o anche, ogni anno, per i soli periodi relativi all’esercizio di occupazioni stagionali;
  2. b) quelle che si assentano dal Comune e dimorano in un altro Comune per un periodo inferiore ad un anno;
  3. c) quelle che – per raggiungere il Comune ove svolgono la loro attività professionale – si assentano da quello di dimora abituale, nel quale hanno l’abitazione, la famiglia, l’iscrizione anagrafica, facendovi ritorno seralmente o anche settimanalmente. Al riguardo è necessario richiamare l’attenzione sul fatto che non è da considerarsi Comune di residenza e quindi di iscrizione anagrafica quello ove una persona si reca al mattino per esplicarvi la sola attività professionale e che seralmente abbandona per rientrare nel Comune nel quale ha l’abitazione e la famiglia. Ciò dicasi, in particolare, per i dipendenti dello Stato;
  4. d) quelle persone che si assentano dal Comune di dimora abituale saltuariamente, per recarsi in un altro Comune dove dispongono di una seconda abitazione, o posseggono immobili da amministrare, oppure hanno vari interessi, anche notevoli, da tutelare”.

[4] L’ufficiale d’anagrafe è anche competente ad eseguire la notificazione del verbale. L’articolo 14 della legge 24 novembre 1981, n. 689 dispone infatti al quarto comma che “In ogni caso la notificazione può essere effettuata, con le modalità previste dal codice di procedura civile, anche da un funzionario dell’amministrazione che ha accertato la violazione”.
[5] L’articolo 14 della legge 24 novembre 1981, n. 689 dispone al primo comma che “La violazione, quando è possibile, deve essere contestata immediatamente tanto al trasgressore quanto alla persona che sia obbligata in solido al pagamento della somma dovuta per la violazione stessa” e al secondo comma che “Se non è avvenuta la contestazione immediata per tutte o per alcune delle persone indicate nel comma precedente, gli estremi della violazione debbono essere notificati agli interessati residenti nel territorio della Repubblica entro il termine di novanta giorni e a quelli residenti all’estero entro il termine di trecentosessanta giorni dall’accertamento”.
[6] G. Colla, G. Manzo, Le sanzioni amministrative, Giuffrè, 2001, pag. 426.
[7] L’individuazione dell’organo amministrativo competente a ricevere il rapporto e ad emanare l’ordinanza ingiunzione è rimessa all’autonomia organizzativa riconosciuta a ciascun ente.
[8] Da ultimo, Corte di cassazione, sezione I civile, sentenza 21 gennaio 2015, n. 1043.
[9] M. D’Orsogna, Gli atti di accertamento della violazione in La sanzione amministrativa, a cura di A. Cagnazzo, S. Toschei, F.F. Tuccari, Giuffrè, 2016, p. 566.
[10] G. Napolitano, Manuale dell’illecito amministrativo, Maggioli editore, 2021, pag. 227.
[11] Già l’Istat nella circolare “Metodi e norme” serie B – n. 29 – edizione 1992 indicava di avviare il procedimento d’ufficio solo dopo l’infruttuoso invito a rendere le dichiarazioni: “Quando l’ufficiale di anagrafe venga comunque a conoscenza, in particolare, di una persona o famiglia che già dimora abitualmente nel Comune e non ha reso la prescritta dichiarazione di iscrizione anagrafica, deve invitare gli interessati a renderla. Se, a seguito di documentato invito e nel termine ivi stabilito, gli interessati non si presentano in ufficio, l’ufficiale di anagrafe inizierà la procedura per l’iscrizione d’ufficio”.
[12] L’articolo 5 della legge 24 dicembre 1954, n. 1228 dispone al primo comma che “L’ufficiale d’anagrafe che sia venuto a conoscenza di fatti che comportino l’istituzione o la mutazione di posizioni anagrafiche, per i quali non siano state rese le prescritte dichiarazioni, deve invitare gli interessati a renderle”.
[13] Si ritiene che obiettivo dell’ufficio deve essere quello di favorire la presentazione delle dichiarazioni anagrafiche da parte dell’interessato, anche se tardivamente, e non quello di introitare le sanzioni. Occorre inoltre considerare che la gestione di un procedimento di mutazione d’ufficio presenta dei costi diretti ed indiretti nettamente più elevati rispetto a quello di un normale procedimento avviato in seguito alla dichiarazione dell’interessato.

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Lunedì 24 giugno 2024, ore 15.00 – 16.30 a cura di William Damiani e Maurizio Marchi

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