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Stranieri, kafalah e ricongiungimento familiare

In materia di kafalah e suoi effetti anche per quanto riguarda l’istituto del ricongiungimento familiare, la giurisprudenza, non solo di merito ma anche di legittimità (Corte di Cassazione), è stata variamente divisa, non solo sul presupposto che l’Italia non ha ancora aderito alla Convenzione de L’Aja del 19/10/1996 sulla giurisdizione, legge applicabile, riconoscimento, rafforzamento e cooperazione riguardo alla responsabilità parentale e misure di protezione dei bambini.

Ad esempio, e proprio per la pregressa non uniformità di orientamenti, la Corte d’Appello di Ancona ha avuto modo, con ordinanza n. 996 del 24/1/2012, di proporre la questione avanti alla Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione, che per altro, aveva già rilevato i contrasti interpretativi, come risulta da specifica Relazione alle Sezioni Unite. Le quali si sono – ora – pronunciate in senso sostanzialmente favorevole al riconoscimento dell’istituto della kafalah anche (o almeno) ai fini del nulla-osta al ricongiungimento familiare, anche nel caso di affidamento a cittadino italiano.

Come già a suo tempo ricordato, l’istituto della kafalah si avvicina o ricorda (con le debite differenziazioni) l’istituto dell’affiliazione, soppresso ormai da oltre 30 anni, con cui non si instaurava un rapporto giuridico di carattere “parentale”, ma si attribuiva all’affiliante l’esercizio della potestà sul minore, correlato ad una regolazione sul cognome. Quando l’istituto dell’affiliazione è stato introdotto (fine anni ’20-primi anni ’30), esso consentiva, in particolare nelle realtà basate sull’agricoltura non estensiva, dove frequentemente azienda agricola e famiglia (e viceversa) si sovrapponevano ed integravano (e il capo famiglia era, ad un tempo, capo dell’azienda agricola), di acquisire manodopera cui non erano dovuti salari, né contribuzioni previdenziali, magari avendo riguardo a minori abbandonati “assegnati” dagli orfanatrofi, “assegnazione” che consentiva la percezione di sussidi economici.

Di seguito, specie nel dopo-Guerra, l’istituto è stato strumentalmente utilizzato per “dare il cognome” ai figli nati fuori dal matrimonio, specie quando (per la normativa ante L. 19/5/1975, n. 151, ma, altresì, anche L. 1/12/1970, n. 898) essi non potessero essere oggetto di riconoscimento di filiazione.


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