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Università, per attirare cervelli stranieri si comincia dalla politica dei visti
Sarà presentato alla Conferenza degli Ambasciatori un pacchetto di norme per facilitare l’ingresso in Italia di personale qualificato

Le università italiane non sono esattamente le più gettonate del mondo. L’ultima classifica dei 400 migliori atenei internazionli pubblicata dal Times Higher Education University Ranking poche settimane fa piazza la prima delle nostre eccellenze in posizione 221. Per non parlare di quanto la pur malmessa Spagna ci surclassi da anni nel desiderio degli studenti Erasmus. Eppure l’Italia, che accusa un gran numero di cervelli in fuga, avrebbe le potenzialità per attrarne. Se solo la burocrazia si sciogliesse, se il mercato del lavoro si aprisse, se il mettere in piedi un’attività non fosse una sorta di mission impossible, se se se… 

Da qualche parte, un giorno, bisognerà pur cominciare. Il Consiglio dei ministri ha cominciato dai visti, il primo impervio ostacolo che incontra lo straniero intenzionato a investire soldi o intelletto in Italia. Vale a dire che, in virtù del Dl Destinazione Italia approvato il 13 dicembre scorso (un pacchetto di una cinquantina di norme per facilitare l’iniezione di nuove energie e personale qualificato) e che sarà presentato domani a Roma nel corso della Conferenza degli Ambasciatori, chiunque voglia venire a fare ricerca universitaria o ad aprire un’impresa innovativa nel nostro paese potrà contare da oggi su una fast track, una corsia agevolata per ottenere il permesso di lungo soggiorno. 

L’obiettivo è catalizzare capitale finanziario e talenti. Alcuni paesi come Cile, Canada, Stati Uniti e Israele lo fanno già da anni con significativi ritorni in termini di ricchezza, start up, dinamica sociale. A bloccare finora l’Italia era anche una complicata e insensata trama burocratica per cui, per esempio, era prevista una quota di studenti stranieri accettabili ogni anno. Peccato che non si arrivasse mai neppure lontanamente a un numero di richieste prossimo al tetto stabilito. Oppure c’era la distorta applicazione della direttiva europea “blu card” per l’attrazione di personale qualificato che dal 2009 a oggi ha portato in Germania 10 mila cervelli e in Italia appena 64. Il limite italiano era nella formulazione del bando per cui laddove la “blu card” richiede “una posizione lavorativa elevata e una alta qualifica accademica” l’Italia traduceva con “una posizione lavorativa elevata e una relativa alta qualifica accademica” tagliando fuori per esempio un potenziale fenomenale informatico indiano laureato però in filosofia (una laurea non relativa alla sua posizione lavorativa). 

Da oggi si volta pagina. O almeno ci si prova. La sfida è alleggerire la burocrazia intervenendo sui permessi di lavoro di lungo periodo, gli unici svincolati da Schengen (che regolamenta invece i visti turistici) e gestibili autonomamente dai singoli paesi. La scommessa è recuperare, se non tutto il terreno perduto, quantomeno i cervelli.


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