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Procedimenti amministrativi, conclusione e ritardo: il risarcimento del danno. Deve essere oggettivo e provabile

Se è vero che l’art. 2-bis, legge 241/1990 rafforza la tutela risarcitoria del privato nei confronti dei ritardi delle pubblica amministrazione, stabilendo che le pubbliche amministrazioni e i soggetti equiparati “sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento”, purtuttavia la richiesta di accertamento del danno da ritardo ovvero del danno derivante dalla tardiva emanazione di un provvedimento legittimo e favorevole, se da un lato deve essere ricondotta al danno da lesione di interessi legittimi pretensivi, per l’ontologica natura delle posizioni fatte valere, dall’altro, in ossequio al principio dell’atipicità dell’illecito civile, costituisce una fattispecie sui generis, di natura del tutto specifica e peculiare, che deve essere ricondotta nell’alveo dell’art. 2043 c.c. per l’identificazione degli elementi costitutivi della responsabilità.
Di conseguenza, per il T.A.R. per la regione Puglia, sede di Lecce, sez. 1^, Sent. n.- 1502 dell’11/9/2012 l’ingiustizia e la sussistenza stessa del danno non possono, in linea di principio, presumersi iuris tantum, in meccanica ed esclusiva relazione al ritardo o al silenzio nell’adozione del provvedimento amministrativo, ma il danneggiato deve, ex art. 2697 c.c., provare tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda (così Cons. Stato, sez. IV, 4.5.2011, n. 2675). In particolare, occorre verificare la sussistenza sia dei presupposti di carattere oggettivo (prova del danno e del suo ammontare, ingiustizia dello stesso, nesso causale), sia di quello di carattere soggettivo (dolo o colpa del danneggiante).


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