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Che differenza passa tra “atti politici” e “atti di alta amministrazione”?

Hanno natura politica solo gli atti che sono riferibili a organi costituzionali dello Stato, collegati immediatamente e direttamente alla Costituzione e alle leggi costituzionali, nei quali si estrinsecano l’attività di direzione suprema della cosa pubblica e l’attività di coordinamento e controllo delle singole manifestazioni in cui la direzione stessa si esprime nel rispetto degli interessi del regime politico canonizzati nella Costituzione; detti atti non costituiscono attuazione dell’ordinamento ma sono espressione di una funzione diversa, libera nei fini e per tal motivo sono sottratti al sindacato del giudice amministrativo (TAR Lazio, Roma, II-ter, 28 maggio 2001, n. 5076).
Una siffatta qualificazione viene tuttavia esclusa per gli atti di nomina alle cariche dirigenziali dell’Amministrazione dello Stato o alle alte cariche pubbliche, per i quali, sulla scorta di un’attenta e seria valutazione del possesso dei prescritti requisiti in capo al designando, la scelta cade sul soggetto ritenuto più adatto a ricoprire una certa carica in vista del rispetto di obiettivi essenzialmente programmatici; la giurisprudenza colloca tali atti nel novero degli atti di alta amministrazione (Cons. Stato, sez. VI, 10 agosto 1993, n. 566; id., sez. IV, 22 maggio 1997, n. 553; id., 3 dicembre 1986, n. 824; id.,14 aprile 1981, n. 340).
Lo ha affermato il T.A.R. per la regione Lazio, sede di Roma, Sez. 1^, con la sent. n. 2223 del 5/3/2012, considerando anche come gli atti di alta amministrazione, invero, svolgono un’opera di raccordo fra la funzione di governo e la funzione amministrativa e rappresentano il primo grado di attuazione dell’indirizzo politico nel campo amministrativo; essi costituiscono manifestazioni d’impulso all’adozione di atti amministrativi, funzionali all’attuazione dei fini della legge e sono pacificamente ritenuti soggetti al regime giuridico dei provvedimenti amministrativi che vede l’applicazione, in primo luogo, degli artt. 24, 97 e 113 della Costituzione, non potendo soffrire alcun vuoto di tutela giurisdizionale.
Ne consegue che la nomina a componente di un’Agenzia indipendente preposta alla tutela degli interessi dei cittadini-utenti, va pianamente ricondotta all’attività amministrativa del Governo per essere ricompresa, nonostante il suo carattere altamente fiduciario, tra gli atti di alta amministrazione (fattispecie relativa alla nomina di componente del Collegio dell’Agenzia Nazionale di Regolamentazione del Settore Postale).
Pertanto la proposta di nomina a componente di un’Agenzia indipendente, rappresentando l’atto di impulso del procedimento in grado di conformare il contenuto della designazione da effettuarsi dal Governo e da formalizzarsi con decreto presidenziale, e quindi di condizionare l’esito dell’intero iter procedimentale, è l’atto in cui si manifesta la scelta, in base al verificato possesso dei requisiti di legge, del soggetto ritenuto più adatto a ricoprire quella carica in vista del rispetto degli obiettivi programmatici posti nella disciplina, e pertanto detta proposta non è espressione di un’attività libera nei fini ma di una attività di alta amministrazione, e dunque soggiace alla disciplina generale degli atti amministrativi.
Analogamente, i pareri resi dalle commissioni parlamentari nel procedimento di nomina non sono esp ressione di un’attività discrezionale politica bensì manifestazione di un giudizio sulle competenze professionali dei soggetti prescelti; essi, come chiaramente affermato dal Consiglio di Stato nell’ordinanza n. 5144/2011 del 23 novembre 2011, “non importano espressione diretta di autonomia politica, ma concernono comunque generici apprezzamenti di non contrarietà sull’azione della p.a. e, come tali, inserendosi nell’ambito e con le regole tipiche di un procedimento amministrativo, rivestono carattere sostanzialmente amministrativo”.
Ne consegue che, essendo gli atti di alta amministrazione formalmente e sostanzialmente atti amministrativi, essi sono comunque soggetti all’obbligo di motivazione, essendo chiuso nel sistema, dopo l’entrata in vigore della legge n. 241 del 1990, ogni spazio per la categoria dei provvedimenti amministrativi c.d. a motivo libero, e posto che la connotazione di un atto amministrativo come un atto di alta amministrazione non vale di per sé ad escludere l’onere di motivazione a carico dell’amministrazione (cfr. TAR Lazio, Roma, II-ter, 28 maggio 2004, n. 5076).


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