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La mutazione d’ufficio e l’alleato che non ti aspetti: l’anagrafe dei temporanei
L’iscrizione nello schedario della popolazione temporanea rappresenta un utile strumento per poter meglio gestire i trasferimenti di residenza non dichiarati dagli interessati

L’iscrizione nello schedario della popolazione temporanea rappresenta un utile strumento per poter meglio gestire i trasferimenti di residenza non dichiarati dagli interessati.

“I cittadini spesso trascurano i loro obblighi anagrafici e quindi effettuano i loro movimenti senza darne notizia all’anagrafe”, così scrive l’ISTAT nell’introduzione alla nota circolare “Metodi e norme” serie B – n. 29 – edizione 1992.
Di questo problema ne era già consapevole anche il legislatore del 1954. La legge anagrafica prevede infatti all’articolo 5 che l’ufficiale d’anagrafe:
– se viene a conoscenza di mutazioni di posizioni che non sono state dichiarate, deve invitare gli interessati a renderle;
– in caso di mancata dichiarazione, provvede d’ufficio, notificando all’interessato il provvedimento stesso.
È evidente che tutto l’ordinamento anagrafico sia incentrato prevalentemente sulle dichiarazioni da parte degli interessati che sicuramente rappresentano il principale input per l’aggiornamento della banca dati anagrafica. Fra l’altro il decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989, n. 223 prevede l’obbligatorietà della dichiarazione anagrafica specificando:
a) i soggetti obbligati a rendere le dichiarazioni, ossia tutti i soggetti maggiorenni per se stessi e per le persone sulle quali esercitano la responsabilità genitoriale o la tutela;
b) i fatti che devono essere dichiarati, individuati principalmente nei trasferimenti di residenza, nei cambi di abitazione e nelle mutazioni della composizione della famiglia o della convivenza;
c) i termini entro cui devono essere rese le dichiarazioni, ovvero 20 giorni dal momento in cui si sono verificati i fatti.
Preso atto però che non tutte le persone assolvono ai propri obblighi anagrafici, la legge 24 dicembre 1954, n. 1228 ha voluto attribuire alla Pubblica Amministrazione un potere/dovere di registrazione d’ufficio dei fatti rilevanti, da azionare in tutti quei casi in cui il comportamento del cittadino non sia rispettoso del dettato normativo.

Il sistema anagrafico si fonda principalmente sulla responsabilizzazione dei cittadini (italiani o stranieri)

Questa propensione per i procedimenti di parte risponde anche ai criteri di economicità e di efficacia dell’azione amministrativa dettati dall’articolo 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241, in quanto la gestione di un procedimento d’ufficio comporta dei costi nettamente superiori e una tempistica necessariamente più lunga rispetto ad una procedura avviata in seguito alla dichiarazione anagrafica dell’interessato.
L’intervento d’ufficio diviene però assolutamente necessario quando l’anagrafe viene a conoscenza di una mutazione che non è stata dichiarata. Il caso più classico è quello della segnalazione effettuata dall’ufficio anagrafe di un altro comune ai sensi dell’articolo 16 del decreto del Presidente della Repubblica n. 223/1989, con cui si viene notiziati che un determinato soggetto probabilmente abita sul nostro territorio senza aver dichiarato la nuova residenza.
Queste segnalazioni che dovrebbero costituire un punto di forza di tutto il sistema anagrafico, in realtà nella maggior parte dei casi non ottengono l’effetto desiderato, ossia quello di azionare una procedura di mutazione di residenza d’ufficio.
Mentre nel procedimento avviato in seguito alla dichiarazione dell’interessato l’ufficiale d’anagrafe svolge unicamente un ruolo di registrazione e di controllo, nel procedimento avviato d’ufficio assume una funzione di impulso di tutta la fase procedimentale che viene espletata in maniera unilaterale e senza la collaborazione delle persone interessate. Consideriamo infatti che l’espressione della volontà da parte dell’interessato costituisce sicuramente uno degli indicatori utili per definire il requisito della residenza, inteso come dimora abituale, che la giurisprudenza della Corte di cassazione ha sempre affermato comporsi di due elementi: – quello oggettivo, costituito dalla permanenza e dalle presenza fisica in un determinato luogo; – quello soggettivo, rappresentato appunto dall’intenzione di rimanervi stabilmente facendone il centro delle proprie relazioni sociali e familiari (Cassazione civile, sezione II, sentenza 14 marzo 1986, n. 1738)
La mancata collaborazione da parte degli interessati nei procedimenti di mutazione d’ufficio determina pertanto una maggiore difficoltà proprio nella valutazione dell’aspetto soggettivo della residenza, che dovrà essere necessariamente dedotto da altri elementi.
La risposta classica che si ottiene in seguito alle segnalazioni effettuate è infatti quella che la persona dimora solo in via temporanea sul territorio dell’altro comune. Difficile dimostrare il contrario … oltretutto l’ISTAT nella richiamata circolare n. 29/1992 sostiene che continuano a fare parte della popolazione residente quelle persone che “si assentano dal comune e dimorano in un altro comune per un periodo inferiore ad un anno”. Questa è la ragione per cui la prassi delle segnalazioni ex articolo 16 generalmente non porta i risultati attesi.

“Ciò che non abbiamo osato, abbiamo sicuramente perduto”

Questa frase del celebre scrittore irlandese Oscar Wilde ci spinge però a non deporre le armi e a dover prima valutare tutte le soluzioni che la normativa anagrafica ci offre.
Le domande che dobbiamo porci sono sostanzialmente due:
1) in che modo possiamo riscontrare l’elemento soggettivo della residenza in mancanza della collaborazione dell’interessato?
2) come poter gestire il riferimento all’anno di tempo che può far ritenere solo temporaneo l’allontanamento dal comune di iscrizione anagrafica?
Relativamente all’elemento soggettivo della residenza, quest’ultimo potrà essere ricostruito attraverso degli accertamenti disposti per un periodo significativo di tempo che possono così mettere in evidenza le abitudini di vita della persona. Solo mediante verifiche ripetute nel tempo, eventualmente incrociate con quelle disposte dal comune che ha inviato la segnalazione, potrà appurarsi se la dimora nel nuovo luogo abbia assunto o meno il carattere della abitualità.
In relazione invece alla seconda domanda, qualora l’interessato non collabori oppure dichiari che si tratta di una dimora solo provvisoria, l’ufficiale d’anagrafe potrà disporre l’iscrizione d’ufficio nell’anagrafe temporanea, qualora ne ricorrano i presupposti. L’articolo 32 del decreto del Presidente della Repubblica n. 223/1989 prevede infatti al secondo comma che “L’iscrizione viene effettuata a domanda dell’interessato o d’ufficio quando l’ufficiale di anagrafe venga a conoscenza della presenza della persona nel comune da non meno di quattro mesi”.
Considerato che lo schedario della popolazione temporanea deve essere periodicamente revisionato, con cadenza almeno annuale, l’ufficio avrà così la possibilità di rivalutare la posizione della persona a distanza di tempo. Lo scopo della revisione è infatti quello di cancellare dallo schedario le posizioni delle persone che non sono più dimoranti temporaneamente nel comune, perché se ne sono allontanate o perché vi hanno stabilito la dimora abituale.
Se a distanza di un anno la persona dimora ancora nel territorio, difficilmente potrà continuare a sostenere che trattasi di una sistemazione temporanea. In questo modo la revisione dello schedario potrà consentire l’apertura di un vero e proprio procedimento di mutazione anagrafica d’ufficio, previo invito all’interessato a rendere la dichiarazione anagrafica. L’eventuale provvedimento finale verrà così ad assumere una base motivazionale molto più profonda e difficilmente attaccabile in sede di ricorso.


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