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L’annullamento in autotutela dei provvedimenti anagrafici: gli aspetti procedurali e le diverse casistiche
Riflessi operativi per l’ufficiale d’anagrafe e analisi delle singole casistiche che possono presentarsi

Nella precedente newsletter abbiamo affrontato in generale il tema dell’annullamento d’ufficio delineandone i presupposti e le caratteristiche principali; oggi la nostra lente di ingrandimento sarà concentrata maggiormente sui riflessi operativi per l’ufficiale d’anagrafe e sull’analisi delle singole casistiche che possono presentarsi.

Come abbiamo già anticipato, qualsiasi registrazione nella banca dati anagrafica in termini di iscrizione, cancellazione o variazione, deve sempre essere preceduta dalla formalizzazione da parte dell’ufficiale d’anagrafe di un provvedimento, che viene adottato a conclusione di un procedimento amministrativo e che indica le motivazioni che ne sono alla base. Pertanto se l’operatore d’anagrafe si accorge di aver effettuato una registrazione indebita, non è sufficiente il semplice ripristino della banca dati, ma occorre preventivamente annullare il provvedimento da cui tale registrazione era scaturita.
L’annullamento comporta la definitiva rimozione dell’atto, con efficacia retrodatata al momento della sua adozione. Il medesimo effetto retroattivo si produce conseguentemente sulle registrazioni anagrafiche che dovranno riportare alla situazione preesistente.

Domandare è lecito, rispondere è cortesia …

Una volta ravvisata l’illegittimità dell’atto, la decisione se procedere o meno all’annullamento in autotutela è sempre a discrezione dell’ufficiale d’anagrafe, anche in caso di espressa richiesta da parte del soggetto interessato. L’accertamento di un vizio sostanziale di illegittimità non obbliga infatti l’amministrazione a procedere con un annullamento.
Fra l’altro non vi è nemmeno l’obbligo per l’operatore di pronunciarsi sull’istanza rivolta ad ottenere un provvedimento di via di autotutela. La giurisprudenza amministrativa sostiene infatti che, rispetto all’attivazione del potere di autotutela, il soggetto privato può solo avanzare mere sollecitazioni o segnalazioni prive di valore giuridicamente cogente (Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza del 9 luglio 2020, n. 4405). Questo principio trova non solo conferma testuale nella lettera dell’articolo 21-nonies della legge n. 241/1990 che prefigura l’iniziativa di annullamento dell’atto in termini di mera “possibilità”, ma si giustifica, alla luce delle esigenze di certezza delle situazioni giuridiche e della correlata regola di inoppugnabilità dei provvedimenti amministrativi, non tempestivamente contestati (Consiglio di Stato, Sez. V, sentenza del 24 settembre 2019, n. 6420).
Quindi se l’interessato presenta un’istanza con cui richiede ad esempio di annullare in autotutela una cancellazione per irreperibilità, la risposta da parte dell’ufficio sarà sicuramente opportuna, ma l’eventuale silenzio serbato in merito alla domanda non potrà essere oggetto di contestazione.

Le casistiche più ricorrenti in ambito anagrafico

Passiamo ora ad affrontare le singole casistiche che possono presentarsi all’ufficiale d’anagrafe.
Ragionando di annullamenti d’ufficio di provvedimenti anagrafici occorre prendere atto che la maggior parte di essi riguardano le cancellazioni per irreperibilità accertata oppure per mancato rinnovo della dichiarazione di dimora abituale per i cittadini stranieri.
Si tratta in entrambi i casi di provvedimenti lesivi da cui derivano conseguenze anche abbastanza gravi per l’interessato, basti pensare che la mancata registrazione anagrafica impedisce di poter esercitare tutta una serie di diritti fondamentali, quali il diritto alla salute, all’assistenza sociale, al lavoro, all’elettorato attivo e passivo, all’identità personale, in sostanza il diritto di non essere invisibili alle istituzioni. Fra l’altro per i cittadini stranieri la presenza di un periodo più o meno lungo di irreperibilità nella storia anagrafica della persona mette a serio rischio anche la possibilità di acquisire la cittadinanza italiana. Per questi motivi sicuramente l’annullamento di una cancellazione costituisce la richiesta di riesame più frequente in ambito anagrafico.

In questo caso il vizio di legittimità solitamente è costituito dalla violazione di legge per difetto di istruttoria o per errata valutazione dei presupposti di fatto. Questo tipo di errore è abbastanza ricorrente nelle procedure di irreperibilità che dovrebbero essere condotte in maniera molto approfondita e scrupolosa nel tentativo di individuare eventuali segnali di presenza della persona, non necessariamente limitati al contesto comunale. L’irreperibilità che richiede la norma per disporre la cancellazione è infatti di tipo assoluto, per cui non è sufficiente che la persona abbia abbandonato il luogo di residenza, ma è necessario che non si riesca nemmeno ad acquisire informazioni o notizie utili circa il nuovo luogo di dimora.
Quindi se la persona cancellata è in grado di dimostrare con elementi oggettivi di non essere stata in una condizione di irreperibilità assoluta, si dovrà valutare un’eventuale annullamento in autotutela della cancellazione già disposta. Gli esempi possono essere diversi: la persona potrebbe essere stata ricoverata per un lungo periodo in un istituto di cura, potrebbe essere stata detenuta in carcere, oppure potrebbe essere stata seguita da un’associazione caritatevole. Per non parlare del caso ancora più eclatante della persona cancellata per irreperibilità che invece risultava essere in carico ai servizi sociali dell’ente.

Si tratta dell’ipotesi che ricorre quando l’ufficiale d’anagrafe ha cancellato il cittadino straniero sulla base della scadenza del titolo di soggiorno registrato in anagrafe senza aver interpellato preventivamente la Questura circa l’eventuale presentazione della richiesta di rinnovo. Capita così che a distanza di qualche tempo lo straniero che era stato cancellato dopo un laborioso procedimento, si presenta in ufficio con in mano la documentazione a comprova della propria posizione di regolarità del soggiorno al momento della cancellazione anagrafica.
Sappiamo infatti che l’articolo 7, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 1989 n. 223, come modificato dal decreto del Presidente della Repubblica 18 ottobre 2004, n. 334, dispone che gli stranieri “comunque, non decadono dall’iscrizione nella fase di rinnovo del permesso di soggiorno”.
Se effettivamente la cancellazione è stata disposta durante la fase del rinnovo del titolo di soggiorno ci troviamo di fronte ad una violazione di legge. Il Ministero dell’Interno nella circolare n. 12 del 2 marzo 2005 ha chiarito infatti che per potersi procedere alla cancellazione non è sufficiente il mancato rinnovo della dichiarazione di dimora abituale, ma è necessario che si verifichi un’ulteriore condizione, ossia che lo straniero non abbia presentato la domanda per il rinnovo del titolo di soggiorno.

Il riesame in autotutela non si applica solo ai provvedimenti d’ufficio, ma anche agli atti conclusivi dei procedimenti avviati su istanza di parte. È il caso delle iscrizioni e mutazioni disposte in seguito alla dichiarazione anagrafica degli interessati.
Nei procedimenti anagrafici avviati ad istanza di parte, il vizio che si presenta più spesso è quello della mancanza degli accertamenti che determina la violazione dell’articolo 19 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 223/1989. Tale norma prevede infatti l’obbligo per l’ufficiale d’anagrafe di verificare la sussistenza del requisito della dimora abituale di chi richiede l’iscrizione o la mutazione anagrafica. Molte volte il fattore delle mancate verifiche si combina con il superamento del termine dei 45 giorni previsti per la fase istruttoria che determina il cosiddetto silenzio assenso.
In questi casi l’ufficiale d’anagrafe può rimediare agli errori disponendo l’annullamento del provvedimento di conferma della dichiarazione anagrafica che si è implicitamente formato per effetto del decorso del termine massimo di conclusione del procedimento.

L’esercizio del potere di annullamento, nei casi che abbiamo visto sopra, presuppone sempre l’avvio di un procedimento amministrativo, al fine di garantire la partecipazione ai soggetti coinvolti che potrebbero ricevere un pregiudizio e in modo da acquisire tutte le informazioni possibili al fine di una migliore istruttoria. Lo stesso articolo 21-nonies della legge n. 241/1990 prevede che si può ricorrere all’annullamento “tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati”.
La preventiva comunicazione di avvio del procedimento costituisce un principio generale dell’azione amministrativa soprattutto quando l’amministrazione esercita il potere di autotutela, espressione della propria discrezionalità, in cui occorre dare adeguatamente conto della sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla rimozione dell’atto o alla cessazione dei suoi effetti (TAR Lazio, Roma, Sezione I, sentenza del 27 novembre 2008, n. 10810).


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