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Danno da ritardo: deve essere quantificato ... dal ricorrente.

L’art. 2.bis L. 7/8/1990, n. 241 ha introdotto il c.d. “danno da ritardo” che sorge quanto la P.A. non adempia, nei termini stabiliti per la conclusione del procedimento. Il T.A.R. per la regione Sicilia, sede di Palermo, sez. 2^, sent. n. 1160 del 23/6/2011 ha ritenuto che seppure sia vero che, in caso di ritardo nel rilascio di un provvedimento autorizzativo, il privato sia abilitato a chiedere innanzi al giudice amministrativo il risarcimento del “danno da ritardo”: dato che il citato art. 2.bis (inserito dalla L. 18/6/2009, n. 69) confermi e rafforzi la tutela risarcitoria del privato nei confronti dei ritardi delle P.A., stabilendo che le pubbliche amministrazioni e i soggetti equiparati siano tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.
Tale norma presuppone che anche il tempo sia un bene della vita per il cittadino: e infatti, il ritardo nella conclusione di un qualunque procedimento è sempre un costo, dal momento che il fattore tempo costituisce una essenziale variabile nella predisposizione e nell’attuazione di piani finanziari relativi a qualsiasi intervento, condizionandone la relativa convenienza economica.
Tuttavia, per ogni ipotesi di responsabilità della p.a. per i danni causati per l’illegittimo esercizio (o mancato esercizio) dell’attività amministrativa, spetta al ricorrente fornire in modo rigoroso la prova dell’esistenza del danno, non potendosi invocare il c.d. principio acquisitivo, perché tale principio attiene allo svolgimento dell’istruttoria e non all’allegazione dei fatti; se anche può ammettersi il ricorso alle presunzioni semplici ex art. 2729 c.c. per fornire la prova del danno subito e della sua entità, è comunque ineludibile l’obbligo di allegare circostanze di fatto precise; sicché, quando il soggetto onerato della allegazione e d ella prova dei fatti non vi adempie, non può darsi ingresso alla valutazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c., perché tale norma presuppone l’impossibilità di provare l’ammontare preciso del pregiudizio subito, né può essere invocata una consulenza tecnica d’ufficio, diretta a supplire al mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte del privato (nel medesimo senso: Cons. Stato, sez. V, sent. n. 1271 del 28/2/2011, Cons. Stato, Sez. V, sent. n- 1739 del 21/3/2011).


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