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RSC, decennale (2). che vi sia stata quale “rimozione” delle innovazioni di maggiore spessore?

Ricordando (ma sarebbe poi oggetto di commemorazione?) i 10 anni dall’entrata in vigore del RSC, può esservi la tentazione di trarre un bilancio, ad esempio considerandosi come quelle che possono essere considerate le innovazioni di maggiore portata introdotte, probabilmente sono quelle che meno sono state “colte” e poste in atto. Uno dei punti (forse) di maggiore innovazione è stato il procedimento relativo alle formalità preliminari alla celebrazione del matrimonio, non tanto per la soppressione del “vecchio” registro e la sua sostituzione con una verbalizzazione che, seppure non iscritta in un registro, conserva la natura di formazione di atti dello stato civile, ma su ben altro. Infatti, oggi, tale procedimento si avvia con le dichiarazioni di cui all’art. 51, 1 RSC, cui seguono gli adempimenti dell’art. 51, 2 RSC e, completati, questi, quelli previsti dagli artt. 53, 54 e 55 RSC. le dichiarazioni di cui all’art. 51, 1 RSC non sono, né possono essere, precedute da alcun altro procedimento, o pre-procedimento (termine già di per sé, abnorme).
Inoltre, occorre avere presente come, con l’entrata in vigore del RSC, siano stati abrogati l’art. 97 CC, ma anche gli artt. 96 e 97 R. D. 9/7/1939, n. 1238. Non ostante questo (forse per una sorta di “resistenza” che sembra avere prodotto una sorta di continuità di prassi antecedenti, con (lievi) sfumature differenziali), vi è chi continua a richiedere documenti, magari anche documenti che non possono che essere rilasciati se non alla persona cui si riferiscono, mancando in capo all’USC ogni legittimazione ad acquisirli (ma si sa come vi siano anche acquisizione d’ufficio, indebite, che vengono perfino esaudite da chi ne sia richiesto), rispetto a cui dovrebbe essere posa la domanda: “A che cosa, a quali fini servono?” (il riferimento è, esplicitamente, ai documenti concernenti la nascita degli sposi).
Non solo, ma quando si verifichi la situazione di persone nate all’estero ed i cui atti di nascita non siano stato oggetto di trascrizione (se cittadini italiani per nascita, oppure persone che, originariamente straniere, siano divenute cittadine), si registra, qui o là, una sorta di “repulsione” ad applicare quanto previsto dall’art. 21, 2, ultimo periodo RSC (che, oltretutto, in questo procedimento risulta perfino incongruo, solo che si consideri come la dichiarazione sostitutiva di certificazione abbia una tutela, penale, ben minore, che non le dichiarazioni rese in atti di stato civile (art. 495, 2 CP), con la conseguenza che le dichiarazioni rese ai sensi dell’art. 51, 2 RSC sono, penalmente, oggetto di ben maggiore tutela e quindi più “forti” che non le dichiarazioni sostitutive considerate dall’art. 46 dPR 28/12/2000, n. 445), salvo non darvi corso, facendo una “carta” in più, che a nulla serve.
In queste situazioni, la “repulsione” si traduce, a volte, in smarrimento, in incomprensione, in insicurezza il ché ripropone la domanda sopra posta, ma anche l’esigenza di un richiamo ai principi che sono presenti nell’art. 1, 2 L. 7/8/1990, n. 241 e nell’art. 11, 1, lett. d) D. Lgs. 30/6/2003, n. 196, norme diverse, ma che racchiudono una “filosofia” molto prossima. Ma, sempre in materia del procedimento relativo alle formalità preliminari alla celebrazione del matrimonio, non dovrebbe dimenticarsi come si reiterino comportamenti propri del passato, come la richiesta (e il rilascio …) dei c.d. certificati plurimi …., il ché prova come – de facto – si continuino, forse anche senza rendersene conto, prassi che avevano fondamento in orme abrogate, da ormai oltre 10 anni (i già citati l’art. 97 CC, ma anche gli artt. 96 e 97 R. D. 9/7/1939, n. 1238).
Ad esempio, non è senza sofferenza che si è avuta conoscenza di come un comune (e, probabilmente, non è certamente un caso isolato) si sia posto la questione se potesse rilasciarsi il certificato cumulativo ad uso matrimonio (residenza, cittadinanza, stato libero) per uno straniero avente cittadinanza di Stato terzo … A parte il fatto che sia la cittadinanza così come la libertà di stato non possono che essere comprovare se non che dalle autorità competenti dello Stato di appartenenza, è l’intero impianto dei “documento per matrimonio” che è privo, oggi, di fondamento di sorta. Infatti, una volta rese le dichiarazioni di cui all’art. 51, 1 RSC, l’USC provvede, prima di porre in essere altri adempimenti successivi, a quanto previsto dall’art. 51, 2 RSC, che si collocano su 2 livelli, uno di applicazione generale, cioè la verifica sull’esattezza (non sulla veridicità, ma sull’esattezza …) delle dichiarazioni rese (ovviamente, spesso di “rimuove” perfino quale sia il contenuto di queste dichiarazioni), il secondo, di applicazione differenziata, potendo essere del tutto diverso nei singoli casi, relativamente all’eventuale (quando proprio serva) acquisizione di atti e documenti idonei ad escludere la sussistenza di impedimenti al matrimonio.
Ad esempio, se si consideri (per semplicità) l’impedimento al matrimonio di cui all’art. 84 CC, una volta che sia stata dichiarata la data di nascita e verificata l’esattezza di tale dichiarazione, che altro occorre per escludere che sussista questo impedimento?
Considerazioni abbastanza analoghe potrebbero farsi in relazione all’impedimento di cui all’art,. 86 CC.
Tuttavia, merita di essere considerato, ex post, come il procedimento quale regolato in precedenza (all’entrata in vigore del RSC) risultasse oggettivamente del tutto più lineare e coerente, anzi altamente funzionale (per tutti, sposi compresi), il ché potrebbe essere una delle motivazioni (forse anche inconsce) per cui continuano a reiterarsi pratiche ormai prive di fondamento normativo.
Se ne prende atto.


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