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Potere di ordinanza dei sindaci: quale equlibrio tra potere ed arbitrio? La Corte Costituzionale dichiara la (parziale) illegittimità costituzionale... dell’ “anche”....

Non moltissimo tempo addietro, un segretario comunale considerava come si fosse giunti al punto che un sindaco avrebbe potuto adottare un’ordinanza di divieto di traffico su di un tratto autostradale interessante il comune, ordinanza che dispiegava tutti i propri effetti, anche se poteva esservi il rimedio del ricorso al T.A.R. , con i tempi della giustizia amministrativa… .
L’art. 54, 4 TUEL E’ stato modificato dall’art. 6 D.L. 23/5/2008, n. 92 (uno dei numerosi “decreti sicurezza”), prevedendo un potere di ordinanza sindacale anche a prescindere dalla contingibilità ed urgenza.
La Corte Costituzionale, con la sent. n.115 del 7/4/2011 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 54, comma 4, del decreto legislativo 18.8.2000, n. 267 (testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali), come sostituito dall’art. 6 del decreto-legge 23.5.2008, n. 92 (Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 luglio 2008, n. 125, nella parte in cui comprende la locuzione “, anche” prima delle parole “contingibili e urgenti”.
Nella sentenza, la Corte Costituzionale ha, tra l’altro, considerato come “l’assenza di una valida base legislativa, riscontrabile nel potere conferito ai sindaci dalla norma censurata, così come incide negativamente sulla garanzia di imparzialità della pubblica amministrazione, a fortiori lede il principio di eguaglianza dei cittadini davanti alla legge, giacché gli stessi comportamenti potrebbero essere ritenuti variamente leciti o illeciti, a seconda delle numerose frazioni del territorio nazionale rappresentate dagli ambiti di competenza dei sindaci”. Si tratta “di vere e proprie disparità di trattamento tra cittadini, incidenti sulla loro sfera generale di libertà, che possono consistere in fattispecie nuove ed inedite, liberamente configurabili dai sindaci, senza base legislativa, come la prassi sinora realizzatasi ha ampiamente dimostrato.
Tale disparità di trattamento, se manca un punto di riferimento normativo per valutarne la ragionevolezza, integra la violazione dell’art. 3, primo comma, Cost., in quanto consente all’autorità amministrativa – nella specie rappresentata dai sindaci – restrizioni diverse e variegate, frutto di valutazioni molteplici, non riconducibili ad una matrice legislativa unitaria”.


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