Ulteriori semplificazioni: cittadinanza e dichiarazioni di cambiamento del domicilio. A che punto siamo?

Ulteriori semplificazioni: cittadinanza e dichiarazioni di cambiamento del domicilio. A che punto siamo?

E’ noto che l’art. 33 D.L. 21/6/2013, n. 69, c.d. “decreto del fare”, ha previsto, tra le altre disposizioni, e relativamente alle ipotesi considerate dall’art. 4, 2 L. 5/2/1992, n. 91, la “non imputabilità all’interessato di eventuali inadempimenti riconducibili ai genitori o agli uffici delle P.A., ammettendolo a dimostrare i requisiti “con ogni altra documentazione idonea”, nonché l’introduzione di un obbligo di previa comunicazione circa la possibilità, per quanti si trovino nelle condizioni previste, di eleggere la cittadinanza italiana.

Tali norme sono in vigore dal 22/6/2013. In sede di legge di conversione, L. 9/8/2013, n. 98, in vigore dal 21/8/2013, l’art. 33 ha subito alcune modifiche, tra cui la soppressione della parola “altra” al co.1, il cambiamento dei termini per la comunicazione agli interessati (divenuti “nel corso dei 6 mesi precedenti il compimento del 18 anno di età), unicamente all’inserimento di un ulteriore comma, recante l’obbligo, entro 3 mesi, per gli uffici pubblici coinvolti nei procedimenti di rilascio (sic!) della cittadinanza di acquisizione/trasmissione di “dati e documenti” attraverso strumenti informatici. Se il termine dell’art. 33, 2-bis (palesemente correlata alle modifiche al CAD, in coerenza con l’art. 14, 1-bis stesso D.L. 21/6/2013, n. 69), che, per inciso, è esposte a criticità (si pensi a atti/documenti formati all’estero e da presentare a cura ed onere della persona richiedente la concessione/conferimento della cittadinanza), sia decorso /abbastanza infruttuosamente), l’art. 33 è vigente (dal 21/6 per il testo originario, dal 21/8 per le altre modifiche subite in sede di legge di conversione).

Se la questione della “non imputabilità” agli interessati di inadempimenti altrui (non solo dei genitori, ma, anche, di uffici della P.A. …) può essere – accademicamente – comprensibile, da un lato il contenuto del concetto di “inadempimento” (su cui non sono mancate valutazioni di fantasia) resta vago ed impreciso, oltretutto non distinguendo (ma sarebbe aspetto sostanziale) tra “inadempimento” e “violazione”, dall’altro rimane ancora maggiormente indefinito l’ambito della “idonea documentazione” (ricordando che la “parola “altra” è stata soppressa) probatoria della sussistenza del possesso dei requisiti (indicati all’art. 4, 2 L. 5/2/1992, n. 91) e che viene a rilevare sia in sede di ricevimento della dichiarazione di elezione della cittadinanza italiana (da iscrivere nei registri per gli atti di cittadinanza utilizzando la Form. n. 80) quanto in sede di accertamento della sussistenza delle condizioni che la legge stabilisce per il prodursi degli effetti anzidetti (art. 16, 1.7 d.P.R. 12/10/1993, n. 572; da non confondere, trattandosi di istituto distinto, per quanto omonimo, con l’art. 16, 8 successivo), indeterminatezza che potrebbe essere anche agevolmente risolta in via amministrativa (cioè con una circolare del MIN (Citt.)), tanto più che vi sono già stati precedenti, ampiamente (secondo alcuni, eccessivamente) “largheggianti”, come si è avuto con la circolare del MIN (Citt.) n. K.60.1 del 5/1/2007 “Legge 5 febbraio 1992, n.91 “Nuove norme sulla cittadinanza” – Evoluzione di alcune linee interpretative”. Tra l’altro, si tratta di aspetti (anche considerando la distinzione cui è stato fatto cenno in precedenza, tra “inadempimento” e “violazione”), dovendosi tenere ferma la definizione di “residenza legale” (art. 1, 2, lett. a) d,P,R, 12/10/1993, n. 572) dal momento che una linea interpretativa di un certo tipo potrebbe portare ad effetti, de facto, abrogativi di questa effetti che non possono aversi con lo strumento della circolare, ma richiedono norma almeno di pari grado.

Non sembrano esservi particolari problemi sulla comunicazione, anche in presenza della sua avvenuta anticipazione rispetto al compimento dell’età), se non pensando alla misura organizzativa di provvedervi con modalità che consentano la c.d. data certa (o, se si voglia, che assicuri una “tracciabilità” dell’avvenuta comunicazione, nel tempo), dal momento che l’omissione della comunicazione comporta che il termine per rendere la dichiarazione di elezione della cittadinanza da parte degli stranieri nati in Italia e quivi avendovi avuta ininterrottamente la residenza legale fino al raggiungimento della maggiore età (secondo la legge italiana sulla maggiore età), da perentorio quale è, e rimane, diventi ordinatorio, consentendo (in difetto di comunicazione) di rendere una tale dichiarazione in momento successivo (momento che, in difetto di specificazioni, potrebbe essere anche successivo di molto, magari a distanza di anni ….).

Si trascura la questione, per quanto non proprio secondaria, sulla competenza funzionale e territoriale, dal momento che ì’USC non ha/avrebbe cognizione di situazioni che, propriamente, sono documentati (e deducibili) da atti di altra figura (l’U.d.A.), frutto di una certa leggerezza redazionale di un legislatore approssimativo.

Per altro, anche sulla comunicazione, e sugli effetti della sua omissione (…), da alcune parti sono state sollevate domande di chiarimento, che potrebbero essere rappresentate, più o meno, nei seguenti termini: “ …. Perché nessuna precisazione per cercare di sapere come procedere per l’applicazione di quanto “obbligato” dall’articolo in oggetto? Come procediamo? Come notifichiamo? Annotiamo o meno sull’atto di nascita dell’interessato, l’avvenuta notificazione della comunicazione? E la formula… la inventiamo …. ? ….”.

Sulle motivazioni della prima domanda, non è agevole formulare alcuna indicazione, se non quella che , in molte occasioni, vi può essere, fisiologicamente, un gap temporale tra norma e istruzioni amministrative, quando opportune o necessarie (e, nella specie, per alcuni aspetti si ravvisano decisamente necessarie).

Per il contenuto della comunicazione, dovrebbe considerarsi come esso non dovrebbe costituire una difficoltà, nel senso che si tratta di comunicare al destinatario che può, ove lo ritenga, esercitare il diritto di eleggere la cittadinanza italiana, entro il compimento del 19° anno di età, rendendo apposita dichiarazione all’USC, in occasione della quale è tenuto a presentare la documentazione (quella che non sia acquisibile/trasmissibile d’ufficio, ex art. 33, 2-bis!), indicando altresì (come nelle comunicazioni di avvio dei procedimenti) le notizie ed informazioni (art. 8 L. 7/8/1990, n. 241) utili, anche per assumere informazioni di dettaglio, sulla situazione personale specifica.

Per quanto riguardi la “notifica” (ma si sottolinea che si tratta di “comunicazione”), va solo tenuto presente, come in parte già rilevato, che non vi sono particolari “forme”, se non quella, teleologica, che si tratti di forma che assicuri la data certa della comunicazione: oltretutto, per la formulazione della norma, l’effetto di traslazione (da perentorio ad ordinatorio) del termine non si determina dalla mancanza del ricevimento della comunicazione, ma dalla mancanza di questa, cosa che comporta che anche una comunicazione che non abbia raggiunto il destinatario, escluda l’ipotesi di una tale traslazione del termine.

Ad es.: se la comunicazione, fatta, ritorni non consegnata in quanto il destinatario sia “sconosciuto/trasferito/ecc.” o per compiuta giacenza (se sia stata utilizzata la lettera raccomandata), la comunicazione (o, meglio, il suo obbligo) è stata fatta.

Ma questo potrebbe suggerire anche altre forme, come la mera lettera di comunicazione, del cui invio rimane traccia nelle registrazioni di protocollo (artt. 50 e ss. d.P.R. 28/12/2000, n. 445), dove il (solo) elemento di criticità potrebbe essere costituito dalla rintracciabilità, nel tempo, dei dati relativi alla spedizione della comunicazione, specie quando ciò venga ad occorrere a distanza di tempo, magari di anni, se non si molti anni, criticità che potrebbe essere ovviata conservando (es.) le minute, munite degli estremi di protocollo, in apposito fascicolo/carpetta, da cui “estrarre” tali minute, qualora l’interessato eserciti il diritto di eleggere la cittadinanza italiana, oppure, per altri motivi, non vi siano più le condizioni per una loro conservazione (essendone, a questo punto, esaurita la funzione), conservandovi unicamente quelle “inevase”, a solo titolo di eventuale prova della fatta comunicazione.

Conservazione che, astrattamente, potrebbe anche essere a tempo indeterminato, dal momento che la formulazione dell’art. 33, 2, ultimo periodo, non va oltre al considerare un “momento successivo” (al compimento del 19° anno di età), senza individuarne un termine finale.

Del tutto da escludere ogni annotazione sull’atto di nascita del destinatario (che, per altro, costituirebbe ipotesi di violazione dell’art. 1, 2 L. 7/8/1990, n. 241), non solo per il fatto che non sempre e non necessariamente comune di nascita e comune di residenza (attuale) coincidono (anzi!), cosa che potrebbe essere risolta con una comunicazione al comune di nascita, ma – soprattutto – per il fatto che tale ipotesi viola, nettamente, l’art. 453 CC., per il quale, rispondendo al principio di tipicità delle “registrazioni” del servizio di stato civile, “… Nessuna annotazione può essere fatta sopra un atto già iscritto nei registri se non è disposta per legge ovvero non è ordinata dall’autorità giudiziaria. ….”. In altri termini, possono essere eseguite annotazioni solo quanto esse siano prescritte dalla legge (nel contesto, cioè significa dalla legge sull’ordinamento dello stato civile (art. 449 C.C.), oggi divenuto il RSC), oppure “ordinate” dall’A.G., quando vi sia altra legge, diversa da quella cui fa rinvio l’art. 449 C.C., che preveda, espressamente, che un dato fatto debba essere oggetto di annotazione sui registri per gli atti di stato civile.

Per altro, l’art.33 D.L. 21/6/2013, n. 69, nel testo convertito, richiederebbe palesemente una qualche istruzione amministrativa (circolare), in particolare per gli aspetti che sorgono dal co. 1, in quanto il relativo testo non appare proprio … “auto-sufficiente”, ma, anzi, allo stato, esposto a comportamenti difformi, incoerenti (talora, anche … “fantasiosi”) e, a certe condizioni, perfino a violazioni (o, almeno adulterazioni) della stessa norma da applicare, per cui la mancanza di indirizzi non è proprio secondaria, tutt’altro.

 

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *