ACCESSO AGLI ATTI E PRIVACY - Accesso civico generalizzato ai ruoli matricolari militari

Il parere del Garante per la privacy

Approfondimento di S. Biancardi

Nessun accesso civico generalizzato ai ruoli matricolari militari.
È quanto sostenuto dal Garante per la Privacy nel parere n. 6 del 23 gennaio 2020.
Nel caso sottoposto al parere del Garante, il Responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza di un Comune aveva chiesto al Garante il parere previsto dall’art. 5, comma 7, del d.lgs. n. 33/2013, nell’ambito del procedimento relativo a una richiesta di riesame sul provvedimento di diniego di un accesso civico.
Nello specifico, una Sezione dell’Unione Nazionale Sottufficiali Italiani aveva presentato istanza di accesso civico avente a oggetto i registri del “Ruolo matricolare Comunale dei Militari” riferiti a 35 anni (dal 1950 al 1985), e i dati personali ivi contenuti.
Nella richiesta era stato specificato che la finalità dell’accesso risiedeva nella volontà di contattare i soggetti contenuti nei predetti registri potenzialmente interessati, in “previsione di una loro eventuale adesione associativa”.
Si trattava di una mole di dati e informazioni personali riferibili – come evidenziato nella richiesta di parere al Garante dal responsabile per la prevenzione della corruzione e per la trasparenza del Comune – a dati comuni e, in alcuni casi, anche a “categorie particolari di dati personali” (art. 9, RGPD) appartenenti a circa 170.000 soggetti interessati. I registri richiesti, infatti, riportavano nominativi, data e luogo di nascita, informazioni in ordine alla residenza alla data di registrazione, unità militare di assegnazione, grado rivestito, data di congedo, nonché annotazioni spesso coinvolgenti profili attinenti alla salute, in ordine all’eventuale esonero permanente dal servizio militare obbligatorio (riformato per …), unitamente ad indicazioni circa la condizione di obbiettore di coscienza e di eventuale, successiva rinuncia al relativo status, di per sé sintomatiche di opinioni politiche e/o di convinzioni religiose o filosofiche.
Dagli atti risultava che il Comune avesse negato l’accesso civico, richiamando il limite della protezione dei dati personali contenuto nell’art. 5-bis, comma 2, lett. a), del d.lgs. n. 33/2013.
Il Garante, come in tutti i pareri resi, ha rammentato al riguardo, che deve essere tenuta in primo luogo in considerazione la circostanza per la quale – a differenza dei documenti a cui si è avuto accesso ai sensi della l. n. 241 del 7 agosto 1990 – i dati e i documenti che si ricevono a seguito di una istanza di accesso civico divengono “pubblici e chiunque ha diritto di conoscerli, di fruirne gratuitamente, e di utilizzarli e riutilizzarli ai sensi dell’articolo 7”, sebbene il loro ulteriore trattamento vada in ogni caso effettuato nel rispetto dei limiti derivanti dalla normativa in materia di protezione dei dati personali (art. 3, comma 1, del d.lgs. n. 33/2013).
Di conseguenza, è anche alla luce di tale amplificato regime di pubblicità dell’accesso civico che va valutata l’esistenza di un possibile pregiudizio concreto alla protezione dei dati personali dei soggetti controinteressati, in base al quale decidere se rifiutare o meno l’accesso ai documenti richiesti.

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