Modifiche alla legge sulla cittadinanza e proposte d’introduzione dello jus soli

Modifiche alla legge sulla cittadinanza e proposte d’introduzione dello jus soli

A seguito dell’annuncio del ministro Kyenge di voler elaborare un D.d.L. di modifica alla L. 5/2/1992, n. 91, per l’introduzione del principio dello jus soli, ipotesi che alcune forze politiche avevano già ventilato, e che avevano visto anche raccolte di firme, su logiche di integrazione, come la campagna ‘Italia sono anch’io‘ (che, un anno addietro aveva raccolto il non eccessivo numero di 50.000 firme), l’ANSA ha elaborato una “scheda” variamente riassuntiva delle legislazioni di alcuni altri Stati per quanto riguarda la regolazione della cittadinanza ai figli di stranieri, nati in Italia (i figli …).

A parte alcune situazioni di jus soli “puro”, nei Paesi considerati si registrano posizioni forse di maggiore favore, quanto meno rispetto alla previsione dell’art. 4, 2 L. 5/2/1992, n. 91 (che già non è irrazionale), collegando i criteri di determinazione della cittadinanza non al mero fatto del luogo di nascita (fattispecie che potrebbe essere anche solo accidentale), ma con collegamenti con un qualche criterio di collegamento con il territorio. Infatti, uno jus soli “puro” ha ben poco significato, e, laddove presente, trovava origine in aspetti di ordine “feudale”, con connessioni agli istituti di servitù della gleba, in cointesti dove la proprietà fondiaria determinava la potestà politica (ecc. ecc.).

In proposito, non si può non ricordare (ne è la prima volta che la Newsletter lo ricorda) come la normativa italiana antecedente – in particolare, l’art. 3 L. 13/6/1912, n. 555 – affrontasse questa problematica ricorrendo a certi criteri e modalità, coniugando il luogo di nascita con altri elementi, anzi, a certe condizioni, facendo prevalere questi secondi sul primo. Infatti, l’art. 3 L. 13/6/1912, n. 555 considerava, anche, l’ipotesi dello straniero, figlio di stranieri, che non fosse nato in Italia, ma fosse nato anche all’estero, qualora un collegamento con il territorio sussistesse, in capo ai genitori, da un certo tempo. Probabilmente quell’impianto normativo aveva un proprio senso e, secondo alcuni, maggiore anche della previsione dell’art. 4, 2 L. 5/2/1992, n. 91, per cui non guasterebbe che, in sede di elaborazione del D.d.L. ipotizzato, qualcuno andasse a ri-leggersi (la memoria è, sempre, troppo corta) i resoconti parlamentari relativi al tema e le considerazioni, anche di dottrina, che, a suo tempo, avevano portato al passaggio dalla norma precedente a quella attuale.

La quale ultima, oltretutto, si colloca nella fase (di poco) successiva al D.-L. 30/12/1989, n. 416, convert. in L. 28/2/1939, n. 39, e precedente (di circa 6 anni) alla L. 6/3/1998, n. 40 e al seguente testo unico, D. Lgs. 25/7/1998, n. 286, disposizioni che un proprio “peso” hanno quando si parla di criteri di determinazione della cittadinanza a persone appartenenti ad altri Stati. Una “rivisitazione” dell’impianto dell0’art. 3 L. 13/6/1912, n. 555 (non interessato aspetti di dettaglio, quali i termini temporali, ma l’impianto concettuale che ne è sottostante), potrebbe fornire elementi utili, decisamente mutuabili. Se non ché, essendo la memoria corta, non può escludersi che non vi siano le condizioni, culturali, per andare a prendere in considerazione questo impianto, specie quando operi la logica per cui quanto sia risalente nel tempo debba, per questo solo fatto, non essere neppure oggetto di lettura, per questo, si ricorre a ri-proporre il testo dell’art. 3 L. 13/6/1912, n. 555, nel suo testo originario ricordando, per curiosità, come la modifica dell’età non sia avvenuta con la L. 8/3/1975, n. 39, bensì con il successivo art. 1 L. 3/10/1977, n. 753 (ma, tardivamente, con effetto dalla data di entrata in vigore della L: 8/3/1975, n. 39!). Tra l’altro, il n. 3) prevedeva un effetto “automatico”, tanto che, essendovi anche l’istituto del servizio militare di leva obbligatorio, non mancavano, prima della L. 5/2/1992, n. 91, casi di rinuncia, dichiarata all’Ufficiale dello stato civile, in funzione di sottrarsi agli obblighi di leva. Incidentalmente, può richiamarsi l’attenzione anche sulla previsione del comma 2, che, in parte, ricorda una delle fattispecie soggettive presenti nell’art. 4,1 o nell’art. 9, 1, lett. a) L. 5/2/1992, n. 91.

Legge 13 giugno 1912, n. 555 – Articolo 3

Lo straniero nato nel Regno o figlio di genitori quivi residenti da almeno dieci anni al tempo della sua nascita diviene cittadino:

1° se presta servizio militare nel Regno o accetta un impiego nello Stato;

2° se compiuto il 21° anno risiede nel Regno e dichiara entro il 22° anno di eleggere la cittadinanza italiana;

3° se risiede nel Regno da almeno dieci anni e non dichiara nel termine di cui al n. 2 di voler conservare la cittadinanza straniera.

Le disposizioni del presente articolo si applicano anche allo straniero del quale il padre o la madre o l’avo paterno siano stati cittadini per nascita.

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